La notizia è passata in secondo piano, non ha avuto il risalto che meritava, magari volutamente o magari soltanto perché ciò che è accaduto o accade in Siria non è esattamente tra le news di maggiore tendenza. Così, nei giorni in cui dal Regno Unito giunge la notizia dell'elezione di Sadiq Khan, primo sindaco musulmano; nel periodo in cui gli Stati Uniti d'America sono alle prese con il ciclone-Trump o in Italia ci si prepara ai fondamentali appuntamenti elettorali delle amministrative nelle grandi città, giunge dal Qatar una rivelazione clamorosa sul conflitto siriano.

La rivoluzione contro il regime di Bashar al-Assad, infatti, non sarebbe nata dalle ideologie della 'primavera araba' bensì da alcuni subdoli giochi di potere messi in atto da altre Nazioni.

Le ammissioni dell'ex ministro al-Thani

Le parole di Sheikh Hamad Bin-Jaber al-Thani, primo ministro del Qatar dal 2007 al 2013, pesano come macigni. Sono state pronunciate nel corso di un'intervista rilasciata al Financial Times, in cui lo sceicco qatariota si esprime a ruota libera circa le responsabilità dirette del suo Paese e del governo saudita nell'attuale guerra civileche sta insanguinando la Siria dal 2011. "Nel 2011 - ha dichiarato al-Thani - abbiamo iniziato ad interferire nella politica siriana. Eravamo sicuri che, in un eventuale intervento militare in Siria, il Qatar avrebbe assunto un ruolo guida. Poi la monarchia saudita ha deciso di prendere parte al conflitto in maniera diretta e ci ha chiesto di limitarci ad un supporto e questo ha causato una competizione tra il nostro Paese e l'Arabia Saudita negli affari siriani".

L'abile regia di questo disegno, tanto per cambiare, sarebbe stata diretta dal governo statunitense.

Una prospettiva diversa

Chiaro che quanto affermato dall'ex ministro del Qatar getta una luce più opaca agli occhi di chi ha descritto la rivoluzione siriana come una nuova "primavera araba". La rivolta contro il dittatore Assad non sarebbe infatti sorta da una mobilitazione popolare ma dalla spinta di Nazioni che avevano interesse a deporre l'attuale governo siriano ed i cui governi sono altrettanto autoritaristi ed anti-democratici.

Senza rischiare di incorrere nel ruolo dell'avvocato del diavolo, ma anche in Qatar o Arabia Saudita il rispetto dei diritti umani è un concetto relativo.

L'incognita dello Stato Islamico

A rovinare i piani di chi ha fomentato la "presunta" rivoluzione siriana sono sopravvenuti due elementi di disturbo. Il primo rappresentato dall'intromissione dello Stato Islamico nel conflitto ma siamo assolutamente certi che ciò non fosse previsto?

A voler essere sospettosi a tutti i costi, è storia nota che molti fondi giunti alle casse dell'Isis siano partiti da "donazioni private" provenienti da Qatar ed Arabia Saudita, una questione messa in luce dal Dipartimento del tesoro statunitense e denunciata pubblicamente da Vladimir Putin lo scorso novembre durante il vertice del G20 di Antalya.

L'intervento russo nel conflitto

Ad ogni modo, l'occupazione di territori sotto la sovranità siriana da parte dei miliziani jahdisti ha dato modo ad Assad di scatenare la sua guerra e proseguire indisturbato, nel contempo, le azioni militari contro i ribelli. Nessuno aveva inoltre previsto l'intervento diretto della Russia nel conflitto al fianco di Assad, motivato ufficialmente come guerra allo Stato Islamico ma sospinto dalla volontà di Putin di dare una mano a colui che rappresenta da anni il più fedele alleato in Medio Oriente.

Ciò ha rafforzato il rais siriano e lo ha trasformato in un baluardo contro l'avanzata islamista. Al tirar delle somme, non siamo mai stati sicuri che la maggioranza del popolo siriano sia avversa all'attuale governo ma è stata tirata dentro una guerra scatenata da altri e ne sta piangendo le amare conseguenze: oltre 300 mila vittime e 4 milioni di rifugiati all'estero, sono cifre che parlano da sole.