Camorristi e ‘ndranghetisti, come sempre privi di scrupoli e di onore, avevano sancito un vile accordo per mettere le mani sui fondi destinati alla ricostruzione delle zone dell’Emilia devastate dal sisma del 2012. Sisma che causò la morte di 28 persone, il ferimento di altre 350 e il danneggiamento di moltissimi edifici.

A svelare i retroscena del patto criminale è stato il maresciallo del nucleo investigativo dei carabinieri di Modena Emilio Veroni durante la testimonianza resa al pubblico ministero Mescolini nell’ambito del processo denominato Aemilia.

Il militare, grazie anche alle intercettazioni telefoniche, ha ricostruito meticolosamente il tentativo delle ‘ndrine calabresi e dei clan casalesi di infiltrarsi nel sistema degli appalti della ricostruzione emiliana, ponendo l’attenzione sulla strategia decisa dai cartelli criminali per mettere le mani sugli appalti: nessun uomo di ‘ndrangheta o di camorra sarebbe stato impiegato in prima persona, ma sarebbero stati utilizzati professionisti compiacenti ed imprese del territorio. Emblematico è il caso della Bianchini Costruzioni riportato dalla Gazzetta di Modena o del professionista di Mirandola che troppo spesso si recava a Cutro, in Calabria.

I motivi dell’alleanza

Il maresciallo Veroni, nella sua dettagliata ricostruzione va oltre.

Non solo il business della ricostruzione. Al centro degli affari del cartello calabro-napoletano c’erano anche i proventi dell’usura esercitata ai danni di diversi imprenditori caduti in disgrazia.Un patto mafioso nato e cresciuto per motivi, ma secondo la Direzione Distrettuale Antimafia, molto chiari. Il primo sarebbe dovuto all’evento sismico che ha comportato la necessità di eseguire considerevoli opere pubbliche con relativi stanziamenti di denaro.

Il secondo motivo, sarebbe collegato alla “particolare modalità di atteggiarsi del crimine organizzato in Emilia, che lo ha reso proclive a stringere accordi con la camorra casalese alle cui tipologie comportamentali la ’ndrangheta ha ritenuto di ispirarsi”.Un’alleanza scellerata che tuttavia ha fallito in molti dei suoi obiettivi delinquenziali.

Nella sua lunga deposizione il militare dell’Arma ha infatti sostenuto che il sistema anti-infiltrazioni basato sulle white list, abbia permesso, seppur non totalmente, di impedire l’accesso a numerose organizzazioni criminali che ambivano ad allungare le mani sui fondi destinati alla ricostruzione.

La maxi-operazione Aemilia

Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia, l’ha definita “un’indagine senza precedenti, che ha segnato un punto di svolta nel contrasto alle cosche di mafia” che ammorbano il settentrione d’Italia.Era il mese di gennaio del 2015 quando vennero arrestate 160 persone, accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, usura, intestazione fittizia di beni, estorsione, porto e detenzione illegali di armi, reimpiego di capitali di illecita provenienza ed altro.

Altre 200 furono gli indagati, mentre i beni sequestrati superarono il valore complessivo di 100 milioni di euro.Al centro dell’inchiesta, la 'ndrina Grande Aracri, storico “locale” originario di Cutro con infiltrazioni in diversi settori economici ed imprenditoriali.Le manette scattarono anche ai polsi del consigliere comunale di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani, in quota Forza Italia, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e del padre del calciatore Vincenzo Iaquinta.“Questi soggetti – aggiunse il procuratore Roberti – tendevano a controllare l’informazione, le istituzioni, tendevano a corrompere soggetti all’interno delle forze dell’ordine, ad avere rapporti con la politica e la pubblica amministrazione.

Erano gli stessi componenti del sodalizio criminale che provvedevano ad emettere false fatturazioni, necessarie per coprire affari illeciti e a costituire fondi neri utili per il pagamento di tangenti”.