ROMA – Muore a quattordici anni Denise, il 6 novembre 2017, dopo due giorni di agonia, a seguito di un aneurisma cerebrale non repentinamente diagnosticato. Incolpati i medici del “Pertini” di negligenza, il caso passa nelle mani della Regione e della Lorenzin, inviata una task force per le indagini.

Un malore a scuola, “mi esplode la testa”, queste le parole della giovane Denise la mattina del 4 novembre. Cade a terra, perdendo sangue dalla bocca, e parte l’allarme dagli studenti ai professori. I soccorsi non tardano ad arrivare, ma i paramedici del “Pertini” di Roma ipotizzano possa trattarsi di stress, mentre la ragazzina continua a vomitare sangue.

Trasportata in ospedale, le diagnosi tendono a minimizzare i sintomi, arrivando a prescrivere una flebo di soluzione fisiologica alla ragazza, ed incolpando forse il ciclo da poco passato. Eppure le condizioni della quattordicenne continuano a peggiorare. Dopo alcune ore, a seguito delle continue richieste della madre, viene finalmente effettuato un test diagnostico più specifico: una TAC. Aneurisma cerebrale, questo è ciò che i medici trovano e, da questo momento in poi, ci si rende davvero conto della gravità della situazione. La ragazza verrà trasportata d’urgenza, in ambulanza, all'ospedale pediatrico Bambino Gesù, ma le sue condizioni, nel tempo aggravatesi, la porteranno alla morte in soli due giorni.

Sembrerebbe la trama di un episodio di qualche fiction, ma il dramma che si è svolto durante quei giorni al Pertini è del tutto reale. I familiari di Maria Denise incolpano i medici, rei di aver cercato di minimizzare la faccenda, diagnosticando in modo superficiale al fine di archiviare velocemente il caso come “di ordinaria amministrazione”.

Ora i familiari della vittima chiedono giustizia e muovono denuncia, assistiti dall’avvocato Giuseppe Rombolà. Sulla vicenda è intervenuta la Regione, ed il procuratore aggiunto Nunzia D’Elia ha incaricato un medico di effettuare una consulenza per ricostruire i fatti e comprendere in questo modo se la ragazza potesse essere effettivamente salvata con un intervento repentino.

Anche il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha agito in seguito alla notizia, inviando una task force al Pertini per un’ispezione.

Notizie come questa portano spunti di riflessione molteplici, tanto sull’azione dei singoli medici che in questo caso si sono trovati a porre diagnosi errate plurime, quanto, più in generale, sul ruolo stesso del medico e sulla natura della sua figura. Riguardo ai singoli medici, le cause delle azioni che hanno portato ad errori di questo genere, possono essere molteplici. La fretta, sicuramente, gioca un ruolo primario in questo campo. I bias cognitivi, poi, possono causare ulteriori errori nel processo diagnostico. I bias sono dei meccanismi naturali, istintivi ed irrazionali del nostro cervello, che ci portano a compiere giudizi non necessariamente corrispondenti all’evidenza, sviluppati sulla base dell’interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non connesse logicamente tra di loro.

Numerosi sono i bias che possono invalidare un processo diagnostico, tuttavia tra quelli da dover citare riguardo a questo caso, ci sono l’Availability Bias e il Premature Closure. Il primo corrisponde alla tendenza naturale nel porre diagnosi di patologie che ci ricordiamo meglio, dunque ci spinge a non indagare ulteriormente all’interno della rosa delle patologie possibili, facendo sì che i sintomi vengano ricondotti a ciò che più ci è familiare. Il secondo bias, traducibile in “chiusura prematura”, indica invece la tendenza a concludere il processo diagnostico prima di poter raccogliere ulteriori informazioni rilevanti. Entrambi questi pregiudizi cognitivi possono essere legati al Bias di Conferma, per cui gli esseri umani tendono, durante una ricerca di informazioni, a dare più importanza ai segnali che confermano le proprie tesi, piuttosto che a quelli che le negano.

Dopo aver vagliato le cause psicologiche collegabili agli eventi accaduti, è possibile introdurre un ulteriore discorso, dal respiro più ampio, sulla figura stessa del medico. In questo caso si potrà attingere a piene mani dal pensiero di platone, esponente di spicco della filosofia greca antica. Platone descrive la figura del medico come infallibile, in quanto l’idea di medico, in sé, non presenta la possibilità del fallimento. Un medico, per Platone, è tale solo ed esclusivamente quando cura i propri pazienti. Un vero medico non commette errori, ed un medico che lo fa, semplicemente non è un medico.

Platone tenderà dunque a distinguere i medici, caratterizzati dalla capacità di curare i pazienti, da coloro che tentano di essere dei medici, ma che possono in ogni caso fallire nelle diagnosi e nella cura degli uomini.

Il medico, nella filosofia platonica, corrisponde ad un’idea, che è solamente imitabile dalle cose – dunque anche dagli uomini – ed in questo processo di imitazione l’errore è dietro l’angolo. Bisognerà ricordare che per Platone, nelle Leggi, il medico non si occuperà solamente di curare i sintomi del corpo, ma anche l’anima del paziente, consigliando uno stile di vita che risulti positivo per la salute, piuttosto che limitarsi ad esaminare le patologie per poi procedere ad una cura. Lo stile di vita, corrispondente alla cura dell’anima, sarà centrale per il pensiero platonico, poiché l’ignoranza di quest’ultimo risulterebbe sempre e comunque un male per l’individuo. Che sia il caso fortuito a generare la notizia, o la figura del medico in sé a dover essere rivoluzionata, è assolutamente palese che l’attenzione del medico per il paziente debba risultare, sempre e comunque, totale.