Quando sentiamo parlare di età pensionabile, la misura di riferimento per l’Inps è la pensione di vecchiaia. Si tratta della misura che si centra ad una età prestabilita e con un altrettanto prestabilito numero di contributi da versare. Nella Legge di Bilancio alla voce pensione di vecchiaia nulla di nuovo è stato fatto, ma per quanto riguarda la misura tra 2018 e 2019 molto cambierà. Inoltre, la pensione di vecchiaia è quella da cui parte l’Ape, l’Anticipo Pensionistico sia sociale che volontario. Proprio sull’Ape vanno registrate le novità principali introdotte dalla manovra finanziaria che va a rettificare diversi aspetti della misura entrata in scena da meno di un anno.

Ecco in dettaglio tutto quello che c’è da sapere per questi istituti legati all’età pensionabile.

Novità 2018

Niente cambia nel 2018 per la pensione di vecchiaia per i lavoratori uomini mentre per le donne si azzera l’anno di anticipo loro destinato. La pensione di vecchiaia nel 2018 si centrerà senza differenze di genere a 66 anni e 7 mesi di età con i canonici 20 anni di contribuzione minima. L’età pensionabile però salirà ufficialmente nel 2019 quando l’aumento della vita media degli italiani farà salire per tutti l’età minima per la pensione a 67 anni. Per le donne lavoratrici dipendenti che fino al prossimo 31 dicembre potevano andare in pensione a 65 anni e 7 mesi, si tratta di posticipare la pensione di un anno esatto che dal 2019 diventerà un anno e 5 mesi.

Questo il cambiamento più importante della misura che però non deriva dalla Legge di Bilancio ma da una vecchia direttiva della UE che dichiarò illegittima la differenza di genere tra lavoratori uomini e donne nella Pubblica Amministrazione che all’epoca prevedeva la quiescenza di vecchiaia a 65 anni per i maschi e 60 per le femmine.

Esenzioni

Una misura che consente di anticipare a 63 anni la pensione è l’Ape, cioè il famoso Anticipo Pensionistico. Nella versione sociale l’anticipo è a carico dello stato, con la pensione calcolata sul numero dei contributi accumulati alla data di presentazione della domanda. La pensione erogata è in 12 mensilità, quindi senza tredicesima, non reversibile e non rivalutabile con la perequazione.

L’Ape sociale è destinata a disabili, caregivers e disoccupati che hanno almeno 30 anni di contributi versati. Altri beneficiari sono i lavori gravosi per i quali però sono necessari 36 anni di contributi versati. Proprio sui lavori gravosi si registrano le novità sostanziali per il 2018. Le categorie di lavoratori alle prese con attività talmente logoranti da consentire loro l’anticipo per la pensione con l’Ape sociale passano da 11 a 15 e per tutte queste l’aumento di età pensionabile a 67 anni nel 2019 sarà congelato, fissando il requisiti per la pensione di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi. Per quanti invece non sono soggetti svantaggiati per l’accesso all’Ape sociale c’è l’Ape volontaria. Sempre a 63 anni di età ma con 20 di contributi tutti possono centrare l’Ape volontaria, ma in questo caso a loro completo carico.

La pensione viene erogata sempre su 12 mesi e con le limitazioni dell’Ape sociale e sempre dall’Inps. I soldi però ce li mette una banca alla quale bisogna restituirli quando termina l’anticipo e si arriva a percepire la propria pensione di vecchiaia. Soldi in prestito gravati di spese di assicurazione e interessi che di fatto rendono debitore il pensionato che per 20 anni e mese per mese dovranno fare i conti con una rata trattenuta sulla pensione. L’Ape, qualsiasi sia la sua versione, si centra ad una distanza massima dai 66 anni e 7 mesi pari a 3 anni e 7 mesi. Questo il parametro di riferimento per una misura comunque flessibile che lascia al lavoratore la scelta di quando e come uscire proprio perché deve calcolare in che modo ed in che misura vuole indebitarsi.

I 3 anni e 7 mesi di distanza dalla quiescenza di vecchiaia, salvo interventi ad anno in corso da parte del nuovo Governo che nascerà dopo le elezioni di marzo, sposteranno anche l’età minima di accesso per l’Ape a 63 anni e 7 mesi nel 2019.