L'Agenzia Nazionale della Pesca giapponese ha annunciato giovedì 3 aprile che per la prima volta in 27 anni rinuncerà alla prossima campagna nell'Oceano Antartico, conformandosi alle decisioni della Corte Internazionale di Giustizia. La decisione arriva ad appena tre giorni dalla sentenza della Corte, che il 31 marzo scorso aveva di fatto fermato la caccia ai cetacei nell'Antartico.
«Abbiamo deciso di annullare la nostra campagna di ricerca sulle balene per l'anno finanziario iniziato ad aprile, a causa della recente decisione della Corte Internazionale di Giustizia», hanno spiegato dall'Agenzia nazionale della Pesca, precisando però che il Giappone continuerà a cacciare le balene nel Nord Pacifico.
Anzi, il Ministro giapponese dell'Agricoltura, delle Foreste e della Pesca Yoshimasa Hayashi, forse in aperta risposta alla sentenza della Corte ha affermato che «la carne delle balene è un'importante risorsa di cibo e la posizione del Governo di utilizzarla, basandosi sugli studi scientifici, non è cambiata».
Patrick Ramage, Direttore del Programma Balene del Fondo Internazionale per la Protezione degli Animali (IFAW), ha definito questa decisione «storica, e potrebbe tra l'altro consentire la fine della caccia alle balene anche in altri oceani».
La Corte Internazionale di Giustizia in senso stretto non ha interdetto l'uccisione delle balene, ma prende di mira la campagna giapponese di "studi" nell'Oceano Antartico.
Tuttavia le ripercussioni potrebbero essere mondiali. La sentenza dovrebbe aumentare la pressione sulle altre campagna di caccia ai cetacei e renderle più difficili da giustificare. Come quelle che il Giappone conduce sulle proprie coste e nel nord Pacifico, o come quelle che conduce l'Islanda, giustificandole con ragioni commerciali e scientifiche.
Il caso norvegese invece sarà più difficile da risolvere, perchè Oslo aveva rifiutato la moratoria sulla caccia commerciale alle balene nel 1986. Si stima che il Giappone abbia cacciato più di 10.000 esemplari dal 1987 al 2009. La Norvegia ne ha uccisi 590 nel 2013 e l'Islanda 172.
Considerando che Tokyo aveva aggirato la moratoria del 1986 che autorizzava la caccia alle balene soltanto per scopi scientifici, l'Australia aveva chiesto alla Corte Internazionale di Giustizia di fermare il programma di ricerca giapponese "Jarpa II".
Il Giappone, per il quale la caccia alle balene fa parte della tradizione, sostiene che le sue attività sono solo di tipo scientifico, ma non passa inosservato che la carne degli animali finisce poi sul mercato interno.
Nell'aprile 2013 il Giappone aveva affermato che il numero di balene cacciate nell'Antartico durante la campagna 2012-2013 era stato più basso per le continue azioni di disturbo degli ecologisti dell'Associazione Sea Shepherd, spesso sfociate in vere e proprie prove di forza con le baleniere. Inoltre, sembra che la carne delle balene stia perdendo gusto fra i consumatori giapponesi. Secondo l'Istituto Nazionale di Ricerca sui Cetacei, una struttura semi pubblica che supervisiona le missioni di pesca, delle 1211 tonnellate di carne, ricavate dalla caccia nello scorso anno, ben 908 non hanno trovato collocazione sul mercato interno.
Si parla cioè di circa il 75% degli stocks. Infine, la stessa popolazione sembra diventata indifferente alle campagne di pesca dei cetacei. Fenomeni questi che più delle risoluzioni della Corte Internazionale di Giustizia potrebbero portare ad un drastico calo della pesca delle balene.