Tra il 30 Novembre e l'11 Dicembre, in una Parigi blindatissima per via degli attacchi terroristici della scorsa settimana, si terrà la COP 21 in cui un gruppo di leader politici e di associazioni non governative, provenienti da più di 190 Paesi, cercheranno un accordo per ridurre gli effetti causati dai cambiamenti climatici. La speranza è che si giunga ad un accordo globalmente condiviso con peso giuridico vincolante.

Di cosa si discute e cosa dobbiamo augurarci?

La Conferenza è l'appuntamento in cui si discute una road map al fine di evitare le peggiori conseguenze dei cambiamenti climatici. In pratica si cercano delle soluzioni sul piano economico/ambientale/sociale che siano in grado di mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi medi rispetto al periodo pre-industriale. L'aumento delle temperature medie di 2 gradi è la soglia che ha imposto la ricerca scientifica per scongiurare effetti ambientali catastrofici (siccità, inondazioni, uragani...).

Bisogna ricordare però che stiamo parlando di temperature medie, ciò significa che se in alcune zone del Pianeta l'aumento viene contenuto nei 2 gradi, esistono zone in cui comunque l'aumento delle temperature risulterà essere fuori soglia di sicurezza.

Infatti, alcune Nazioni sostengono che la soglia dei 2 gradi è troppo alta e che dovremmo cercare di restare entro 1,5 gradi medi di riscaldamento.

Per raggiungere  l'obiettivo è necessario l'impegno di tutti gli Stati nel voler raggiungere un accordo ti tipo vincolante, cioè che abbia un peso legale, in modo da evitare di dover ancora una volta assistere a "promesse" disattese.

Ma c'è speranza. Va detto che questa volta il panorama politico è molto più promettente rispetto a quello delle ultime riunioni: Cina e Stati Uniti (i principali Paesi responsabili delle emissioni di carbonio in atmosfera) hanno raggiunto uno storico accordo in cui si impegnano a diversificare la produzione di energia in modo da allontanarsi dai combustibili fossili promuovendo l'utilizzo di fonti rinnovabili.

Finalmente Obama sembra voler dare seguito alle promesse elettorali fatte prima della suo secondo mandato e, oltre ad aver detto no alla Keystone XL pipeline(la realizzazione di un immenso oleodotto per il trasporto del petrolio tra Canada e Texas), ha trovato un ulteriore accordo durante il G7 (composto da Canada, Francia, Germania, Regno Unito, Italia, Giappone e Stati Uniti) per adottare politiche di de-carbonizzazione in grado di puntare all'obiettivo zero-emissioni entro il 2100.

Ma le buone notizie non finiscono qui: tra i più forti oppositori agli accordi di de-carbonizzazione (per via del fatto che il carbone è la fonte fossile più a buon mercato e funge da traino per la crescita economica) vi erano Cina (che non può più permettersi livelli di inquinamento insostenibili) e India che si sono finalmente impegnate all'uso delle energie rinnovabili.

Sembra quindi che le premesse ci siano tutte ma non bisogna dimenticare che un accordo comune è difficile da siglare poiché ogni Nazione spingerà per l'accordo che meglio si adatta alle proprie politiche interne.

Perchè questa volta un accordo è necessario?

Semplice: perché è già tardi. Molte persone nel mondo già subiscono gli effetti dei cambiamenti climatici: ci sono 32 milioni di rifugiati climatici, l'IPCC, il Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, conferma che i disastri climatici influenzano la mobilità delle popolazioni, inoltre, le economie di molti Paesi sono in crisi per via del riscaldamento globale.

Nicholas Stern, economista inglese, nel suo Stern Report (ne riparleremo...), sostiene che i prossimi 10/20 anni saranno cruciali per mettere un serio freno al riscaldamento globale e che il costo dell'inazione distruggerà le nostre economie, vedrà aumentare il numero dei rifugiati climatici, la diffusione di malattie, guerre...

È necessario che i nostri leader siano consapevoli che è ora il momento di agire sul clima: non si può più rinviare.