Riprende, a Cosenza, la caccia al tesoro di Alarico. Dove fu sepolto il monarca barbaro, morto nell’agosto del 410 a Cosenza e seppellito con gli ori delle razzie consumate, appena prima, nella Capitale dell’Impero caduta ai suoi piedi? L’interrogativo pende da secoli. Il mistero permane fitto, nonostante le innumerevoli campagne di scavi, portate avanti con le più diverse e immaginifiche modalità e, tuttavia, senza alcun successo.
Caccia al tesoro di Alarico a Cosenza: si riparte
Un protocollo d’intesa, sottoscritto dal sindaco Mario Occhiuto e dal Soprintendente ai Beni culturali Mario Pagano, ha rilanciato il piano delle ricerche del tesoro di Alarico a Cosenza, programmato sin dallo scorso anno e sospeso per intoppi burocratici, insorti proprio con le competenze della tutela paesaggistica.
L’accordo di questi giorni li ha risolti. L’inizio dei lavori è previsto da qui a qualche settimana. Un comitato scientifico, designato dalle due istituzioni pubbliche, ne vigilerà il corso, dopo aver stilato il calendario degli interventi. I termini dell’intesa tra Comune e Soprintendenza tracciano un primo quadro di sondaggi: all’incrocio tra i fiumi Crati e Busento, nei pressi del centro della città; in corrispondenza del ponte degli Alimena in territorio di Mendicino; lungo il torrente Iassa nel limitrofo Comune di Dipignano; nella grotta Lippusa, a monte del Caronte, in località Piedimonte di Domanico, nel cuore delle Serre cosentine, a pochi chilometri da Cosenza.
Cosenza e il tesoro di Alarico: leggenda o realtà?
Dopo il sacco di Roma, Alarico, re dei Visigoti, scese a sud con l’intento di raggiungere l’Africa. Una serie di peripezie indussero il condottiero e il suo popolo ad accamparsi nella città dei Bruzi. Qui Alarico, probabilmente vittima di un attacco malarico, trovò la morte.
Secondo una leggenda tramandata nei secoli, la salma del duce barbaro, idolatrato dalla sua gente, fu seppellito in un letto fluviale, alla confluenza – secondo alcune versioni – dei fiumi Crati e Busento o in altri corsi d’acqua della cintura cittadina. Con il corpo del venerato monarca, che fece la fortuna dei suoi sudditi, fu seppellito gran parte dell’aureo bottino proveniente dal saccheggio di Roma.
Il corso del fiume venne deviato. E, sempre per impedire ai posteri la localizzazione e la profanazione della tomba, gli eredi di Alarico fecero uccidere gli schiavi che l’avevano realizzata. La leggenda si innescò su versioni date dagli storici più antichi, come Cassiodoro e Jordanes, e dalla letteratura con l’ode del poeta tedesco August von Platen, tradotta da Giosuè Carducci. Un’ipotesi, piuttosto battuta dagli studiosi, vuole che nel tesoro si trovi uno dei pezzi più pregiati della storia dell’umanità, la Menorah, un candelabro a sette bracci, simbolo della religione ebraica. Lo portò via l’imperatore Tito dal Tempio di Gerusalemme e, a propria volta, se ne appropriò Alarico, a seguito della famelica depredazione che umiliò la più grande potenza del mondo.
Anche Hitler provò a trovarlo
Tutto finì per concorrere a fomentare la fantasia dei cosentini, la curiosità degli studiosi, la smania dei ricercatori e dei cercatori che, soprattutto dall’ottocento in poi, si sono adoperati per tradurre il mito deltesoro di Alarico a Cosenza in storia dimostrata e sonante. Nell’impresa si sono susseguiti archeologi, ingegneri idraulici, geologi, persino radiestesisti, ma ognuno di loro fallì nell'impresa. Rimase deluso anche Hitler che, nel 1937, accarezzando la prospettiva di una grande celebrazione ariana nel nome di Alarico, inviò a Cosenza Heinrich Himmler, capo della polizia nazista, ricevendone esiti infruttuosi. Cosenza con il suo sindaco Occhiuto, il suo assessore Vittorio Sgarbi, con la Soprintendenza e con il diffuso interesse dell’opinione pubblica, avendo a disposizione gli strumenti che la tecnologia offre, ritiene di dover continuare a covare quella rosea speranza che, nell’auspicata realtà, sarebbe destinata a monetizzare la storia della città.