Era il 1° dicembre quando si è consumato il dramma presso il Macrolotto, zona industriale cinese di Prato. Poco prima delle 7 del mattino, i vigili del fuoco vengono allertati da un passante che nota una colonna di fumo proveniente da via Toscana, in un noto stabilimento tessile gestito da cinesi. Morirono 7 persone ( 5 uomini e 2 donne), travolti dalle macerie dei dormitori in cartongesso. Da numerosi controlli effettuati dalla Guardia di Finanza è emerso che è "consuetudine" in questa zona adibire i capannoni industriali a dormitori, con cucine improvvisate e alimentate da bombole di Gas.

La fabbrica produceva abiti ed era specializzata nella confezione, quindi all'interno erano presenti materiali altamente infiammabili come cellophane e tessuti sintetici che hanno facilitato il propagarsi delle fiamme, causate probabilmente da una fuga di gas delle bombole.

Per quanto il quadro descritto indichi una condizione di vita precaria, ai limiti della schiavitù, come sostenuto dal Presidente della Regione Toscana " sotto la soglia dei diritti umani ", ecco che il fratello di una delle vittime, appena arrivato dalla Cina insieme ad altri 13 familiari delle 7 vittime, ci porta in un mondo diverso, un modo di pensare che la cultura e lo stile di vita occidentale, difficilmente può comprendere, giustificare o sopportarne l'esistenza.

"Ma non chiamateci schiavi " esorta, " nessuno dei nostri familiari era costretto a fare niente. Sono venuti, sui racconti di amici partiti prima, per guadagnare in media 10 volte di più dei 200 euro per otto ore nelle fabbriche in Patria, qui, continua, si mangia l'amaro( tipica espressione cinese n.d.r), 18 ore al giorno, padroni non troppo teneri ma che pagano oltre 3000 euro al mese per gli operai più veloci, con vitto e alloggio seppur nelle cellette dove sono morti per riscaldarsi ".

"L'uscio e bottega, lavorare e dormire nello stesso luogo, l'abbiamo inventato noi " così testimonia Claudio Bettazzi, Presidente del CNA, confederazione artigiani, riferendosi alle esperienze da bambino. Possiamo quindi indignarci, ma non meravigliarci.

Tornando indietro negli anni '60 vi segnaliamo questo bellissimo reportage della Rai  (youtu.be/uvptCDocH54) 

Nulla è gratis, figuriamoci mettersi in proprio dopo appena 6/7 anni e diventare imprenditori di prestigio; questo è quello che spinge la comunità cinese, in gran parte proveniente da Wenzhou e limitrofi, ad affrontare una realtà per certi versi lugubre ed agghiacciante, ma con la consapevolezza di poter dare una svolta alla propria vita e sperare in un ritorno in Patria da uomini fieri.

Intanto nel web, imperversano vari gruppi xenofobi che scrivono oscenità incendiarie ma, talvolta, invece di agire con la violenza, sarebbe il caso di incontrarsi nei centri culturali e nelle apposite strutture di competenza.

Niente fermerà gente che qui può avere un futuro 10 volte migliore che in casa propria.