Il tema della responsabilità medica, spesso legato a casi di malasanità, è sotto questo profilo oggetto di moltesentenze della magistratura che si concentrano spesso sull'onere probatorio. La giurisprudenza, infatti, ritiene che spetta sempre alla struttura sanitaria e al medico l'onere di fornire la prova liberatoria ai sensi 1218 c.c., quando non sia stato concluso nessun contratto tra i sanitari ed il paziente, potendo quindi quest’ultimo invocare una presunzione di colpa. Tutti i medici infatti nell’adempimento delle proprie obbligazioni sono tenuti non solo all’obbligo della diligenza generica ma anche al rispetto di tutte le regole e precauzioni che costituiscono la conoscenza della professione medica in virtù dell’art.
1176 c.c., comma 2. Questo l’obbligo di diligenza qualificata si estende a tutte le attività professionali che svolge il medico e anche alla corretta tenuta della cartella clinica, la cui violazione determina un danno risarcibile per il paziente a carico anche della struttura ospedaliera. A dirlo è stata appunto una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha statuito che l'imperfetta compilazione della cartella clinica da cui si evince un vuoto temporale di ore nelle annotazioni fa presumere la commissione di errori da parte dei sanitari che legittima il risarcimento del danno nei confronti del paziente.
Responsabilità del medico nella compilazione della cartella
Il caso da cui trae origine la sentenza n.6209/16 della Cassazione riguarda una coppia che aveva citato in giudizio l'ospedale e i sanitari ritenendo che non era stata prestata alla madre un'adeguata assistenza al momento del parto e alla sua bambina un adeguato trattamento post natale.
La neonata infatti durante il parto, a seguito di complicanze, aveva infatti subito delle lesioni e dei danni neurologici permanenti. I giudici di merito hanno respinto il loro ricorso affermando che nella fase post natale non c’erano stati errori nella predisposizione di terapie e diagnosi nel momento in cui si erano verificate le complicanze.
Essi quindi non hanno ritenuto dimostrato il nesso causale tra l'intervento dei medici ed il danno subito dalla nascitura, negando ai genitori il risarcimento del danno. Questi ultimi hanno quindi deciso di ricorrere in Corte di Cassazione evidenziando l'esistenza di un vuoto di 6 ore nelle annotazioni sulla cartella clinica, che coincidevano con il periodo in cui la bambina subiva i danni.
Quindi oltre a rilevare le carenze emerse nella tenuta della cartella clinica, la neonata era stata di fatto lasciata sola durante l’arco temporale che andava dalle 3 alle 9 del mattino
Principio della vicinanza della prova e caso di malpractice
La Corte di Cassazione accogliendo il loro ricorso ha ritenuto che i sanitari erano tenuti a dare la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare l'evento dannoso, dato che il vuoto di 6 ore provava appunto che la bambina dopo la nascita era stata lasciata senza assistenza. Gli Ermellini infatti hanno precisato che l’onere di fornire tale prova spetta sempre ai medici e alla struttura sanitaria, ossia su chi deve tenere correttamente la documentazione clinica e non sui pazienti che riceverebbero altrimenti uno svantaggio processuale.
Questo per il principio della ‘vicinanza della prova’ che consente il capo al medico anche il ricorso alle presunzioni. I giudici di legittimità quindi hanno concluso che devono considerarsi responsabili i sanitari e l’ospedale qualora le omissioni loro imputabili nella redazione della cartella clinica abbiano dato origine ad un inesatto adempimento nella prestazione professionale. Posto anche che l'imperfetta compilazione della cartella ha rilevato come nesso causale del fatto che alla neonata cui non gli è stata assicurata un immediato intervento, subendo la stessa un grave peggioramento delle condizioni di salute e dei danni permanenti. Il giudizio è stato quindi rinviato in Corte d'Appello per un nuovo esame della vicenda.