Comprendere la questione siriana è difficile perché sono troppe le forze e gli schieramenti in campo. L'unico leitmotiv che accomuna tutti è la sconfitta dell'Isis che sembra avere i giorni contati. Oggi lo Stato Islamico è in crisi militare ed economica e l'unico motivo per cui si regge ancora, pur barcollando vistosamente, è il mancato coordinamento di tutte le forze che agiscono in Siria.
Quale futuro, pertanto, nella Siria del dopo-Isis?
Assad fondamentale per Mosca
Vladimir Putin ha sempre appoggiato il fedele alleato siriano, già Paese amico dell'URSS ai tempi della guerra fredda e dei conflitti arabo-israeliani. Nei mesi scorsi Mosca ha cercato un'alternativa, rendendosi conto che la presenza di Bashar al-Assad è pur sempre un ostacolo sul tavolo delle trattative di pace. Si era anche pensato ad una continuità del regime senza Assad ma con un suo fedelissimo al vertice. L'intensificazione dell'azione russa nell'assedio di Aleppo dimostra, però, che non ci sono alternative e Putin lo ha sempre saputo, fin da quando ha deciso l'intervento militare al fianco dell'Iran in aiuto dell'esercito di Damasco in evidente difficoltà.
Se cade Aleppo, Assad e Putin avranno vinto la loro guerra ma la presa della città si sta rivelando più difficile del previsto per la strenua resistenza delle milizie ribelli e delle forze jiahdiste ex qaediste.
L'avanzata dei ribelli nel nord
L'Esercito Siriano Libero era quasi al collasso nel 2013, dopo l'entrata in scena delle milizie Hezbollah libanesi e dei Pasdaran iraniani a sostegno delle forze governative. Fu allora che Arabia Saudita, Qatar e Turchia ripresero a finanziare ed armare in maniera massiccia i nemici di Assad, compresi anche i jihadisti del Fronte Al Nusra ed altri gruppi estremisti. Oggi la Turchia ha scelto di entrare direttamente in campo, favorendo la presa di Jarablus da parte dei ribelli ma, soprattutto, bloccando il progetto curdo di costituire uno Stato indipendente nel nord del Paese.
Quest'ultima è stata la molla che ha fatto scattare l'esercito turco oltre il confine siriano. Recep Erdogan sta giocando con diversi mazzi di carte, la sua posizione nei confronti di Assad si è ora ammorbidita e questo gli permette di trattare con Mosca. I rapporti con gli Stati Uniti sono quelli di un partner NATO, la Turchia sta dando il suo contributo militare nella guerra all'Isis ma è evidente che l'obiettivo di Ankara sono i curdi che costituiscono la maggioranza del Fronte Democratico Siriano e si sono rivelati preziosi alleati statunitensi. In questo modo Washington ha le mani legate, il Pentagono si è limitato ad avvertire Erdogan che non è il caso di aprire un fronte contro le milizie Ypg ma da Ankara è stata ribadita la richiesta di ritiro totale delle forze curde dal nord del Paese ed il loro dislocamento sull'altra riva dell'Eufrate.
Le elezioni siriane
Russia e Cina sono disponibili a supportare una svolta democratica in Siria con l'indizione di elezioni libere, a patto che Bashar al-Assad possa prendervi parte. Gli Stati Uniti si oppongono a questa soluzione perché temono la concreta possibilità che il popolo siriano scelga l'attuale rais. Se non si riesce a trovare una soluzione che va bene a tutti, l'ipotesi di una Siria divisa e governata da una parte dai ribelli filoamericani e dall'altra dall'attuale regime, non è assolutamente lontana. Con tutte le incognite del caso se consideriamo che tra le milizie ribelli c'è una forte presenza di estremisti legati all'Islam radicale. Lo stesso Fronte Al Nusra, pur avendo annunciato recentemente il suo distacco da Al Qaeda (ma il sospetto è che i rapporti con la nota organizzazione terroristica siano sempre floridi, ndr), non è assolutamente affidabile.
La guerra di Washington contro Assad alla fine non è differente da quelle che hanno deposto dittatori come Saddam Hussein e Gheddafi, scatenate in maniera pretestuosa senza prevederne le conseguenze ma il presidente siriano, a differenza degli altri due, gode di amici potenti.