Nelle prime ore della mattina di oggi 17 novembre, ad 86 anni compiuti ieri, Totò Riina è morto a Parma. Dopo una lunga malattia, dopo aver superato due complessi interventi chirurgici e dopo essere entrato in coma, oggi sparisce uno tra gli uomini più spietati dell’ultimo secolo. Sprezzante e manipolatore, il boss non ha mai provato alcun tipo di pentimento anzi, oltre a vantarsi di stragi in cui persero la vita innumerevoli persone, era solito mostrare un sorriso beffardo nella maggior parte delle udienze contro di lui.

Il capo dei capi, così era chiamato da coloro che lo seguivano e rispettavano senza indugi, si trovava ricoverato all’ospedale di Parma, nel reparto detenuti.

Solamente giovedì scorso il ministro Orlando aveva dato la possibilità alla famiglia di recarsi a trovarlo ma né la moglie né i figli sono riusciti ad arrivare in tempo.

Una vita di stragi

La figura di Totò Riina, nato a Corleone da una famiglia di contadini, è strettamente collegata ad alcune tra le più raccapriccianti stragi avvenute nell’Italia degli ultimi decenni. Una vita fatta di massacri, uccisioni e fughe per evitare il carcere. Già a soli 19 anni divenne l’artefice della morte di un suo coetaneo scontando in carcere sette anni. Dal 1969 entrò a far parte di Cosa Nostra divenendo nel giro di pochissimo tempo il capo indiscusso. Intrattenne rapporti con i peggiori boss della mafia siciliana e della camorra napoletana, con l’intento non solo di accumulare soldi ma anche quello di avere il potere sulla vita degli altri, facendola scontare a tutti coloro che si mettevano sulla sua strada e intrattenendo rapporti per aver il primato su infrastrutture e contrabbandi.

Arrestato il 15 gennaio del 1993, dopo 24 anni di latitanza, stava scontando ventisei ergastoli ottenuti per le stragi compiute e le decine di omicidi di cui è stato artefice. Tra le innumerevoli condanne ricordiamo quelle all’ergastolo del 1997 per la strage di Capaci in cui perse la vita il magistrato Giovanni Falcone e del 1998 per quella in via D’Amelio dove morì il giudice Paolo Borsellino.

Per entrambi, Riina provava ancora un odio smisurato ampiamente descritto durante un colloquio con un altro ergastolano in cui si vantava dell’accaduto. Nel 2009, insieme ad Antonio Provenzano, ricevette l’ergastolo per la strage in viale Lazio.

Niente funerali pubblici

I vescovi della Cei sono concordi nell’affermare che non ci saranno funerali pubblici per il capo dei capi.

In particolar modo si sottolinea come, pur non sostituendosi al giudizio divino, il Papa ha sempre espresso una dura condanna nei confronti dei mafiosi per i quali emette la scomunica senza possibilità di cambiamenti.

La Chiesa, inoltre, ha il dovere di andare contro in maniera attiva a qualsiasi tipo di attività mafiosa e di espellere tutti coloro che si macchiano di tale peccato. Poter pensare, di conseguenza, ad un funerale pubblico e religioso è come minimo impensabile.