Facebook crolla in borsa chiudendo a -7,5% in seguito all’impietoso editoriale che il Guardian ha pubblicato contro la società di Menlo Park. Sembrerebbe infatti che Cambridge Analytica, società di data mining, non abbia analizzato i dati dei profili degli utenti in modo trasparente. Il fatto che l’agenzia sia stata coinvolta nella campagna elettorale di Donald Trump e nel voto per la Brexit accentua le preoccupazioni del mondo politico.

I fatti

Per accedere ai dati, Cambridge Analytica ha rilasciato un’app perfettamente legale, “thisisyourdigitallife” presentandola agli utenti come uno strumento innocuo per raccogliere informazioni in favore di ricerche psicologiche con fini accademici. Autorizzando il funzionamento dell’applicazione, decine di migliaia di persone hanno consentito lo scanning delle attività degli amici, della posizione geografica, delle pagine seguite. Questa pratica è comunemente utilizzata da centinaia di aziende che sfruttano i social network per le loro ricerche di mercato: per questo Facebook, Twitter, Instagram e tutti i loro simili sono gratuiti, perché i nostri dati sono la moneta che permette alle piattaforme di fornirci i loro servizi.

L’azione di Cambridge Analytica ha avuto un impatto così grande perché la sua azione aveva un mandante e uno scopo politico: i milioni di profili analizzati nascondono persone reali che vanno a votare e contribuiscono alla democrazia. Finché i nostri dati vengono analizzati per promuovere tubetti di dentifricio o t-shirt sono in pochi a preoccuparsi, ma quando le nostre preferenze politiche vengono estrapolate in maniera poco trasparente e la ricerca di marketing si confonde con la propaganda politica, allora la questione viene problematizzata e spinge a riflettere sul gigantesco potere che detengono le nuove multinazionali.

Propaganda elettorale

Durante la campagna di Donald Trump infatti, per la prima volta nella storia, le società di consulenza hanno usato in maniera massiccia gli strumenti di analisi dei Big Data per arrivare a tracciare dei profili psicologici dettagliati di milioni di persone, sulle quali è stata indirizzata la propaganda attraverso gli strumenti di promozione targetizzata e personalizzata che i social network offrono alle aziende.

Il maggior problema non è quindi la ricerca sulle opinioni politiche dei cittadini, perché è un’attività necessaria e da sempre compiuta, bensì la mancanza di trasparenza e di consapevolezza dei cittadini i cui dati vengono sfruttati e riformulati per indirizzare le tendenze di voto.

Come scrive il Daily Telegraph serve “mettere fine al Far West” dei colossi del web, non tanto imponendo leggi esterne opinabili, quanto piuttosto aumentando la conoscenza di quello a cui andiamo incontro iscrivendoci a queste piattaforme.