Dire che non è un periodo facile per Mark Zuckerberg è certamente un eufemismo. Da almeno un biennio, la sua creatura, Facebook, lotta contro la disaffezione degli utenti - soprattutto del pubblico giovanile - e la sempre più spiccata tendenza a non produrre più contenuti originali. In questo quadro già così complicato, l'esplosione del caso Cambridge Analytica potrebbe costituire la classica goccia che fa traboccare il vaso.

Rubati i dati di 50 milioni di profili

Lo scandalo è stato portato alla luce da due inchieste condotte dal britannico Guardian e dall'americano New York Times, che hanno rivelato il furto dei dati relativi a 50 milioni di utenti Facebook da parte di Cambridge Analytica, società britannica di marketing online e azienda partner - fino allo scorso 16 marzo - dello stesso social network di Menlo Park.

Queste informazioni sarebbero poi state utilizzate dalla stessa Cambridge Analytica per influenzare gli elettori che, nel corso del 2016, si apprestavano a votare per il referendum sulla Brexit e per le presidenziali americane.

Da più parti, ora, si chiede a Zuckerberg di porre fine all'assordante silenzio di queste ore, e spiegare in che modo questa rapina digitale sia potuta avvenire senza che Facebook si accorgesse di nulla; o, nel caso in cui ne fosse stato al corrente, perché non abbia preso provvedimenti.

Nel frattempo, sembra che la prima testa sia già caduta: è quella di Alex Stamos, responsabile per la sicurezza delle informazioni del colosso californiano - che però ha precisato con un tweet di non aver lasciato il suo incarico, ma soltanto di aver cambiato ruolo.

In attesa di una dichiarazione chiarificatrice da parte di Zuckerberg, c'è però chi ha già espresso il suo giudizio: si tratta di Wall Street, che ormai da due giorni sta affossando il titolo di Facebook, punendo l'azienda con pesanti ribassi.

L'onda lunga della crisi

Peraltro, queste difficoltà vanno ad ampliare una congiuntura sfavorevole che dura, per il più famoso tra i social network, almeno dalla fine del 2015: da quando, cioè, è iniziato il brusco calo della pubblicazione di contenuti originali e della condivisione di fatti personali, cui si è accompagnata la migrazione del pubblico più giovane verso social rivali come Snapchat.

Entrambi i fenomeni hanno più di una spiegazione. Per esempio, è probabile che la diminuzione dell'attività di sharing rifletta una maggiore esigenza di privacy, ma anche (e, forse, soprattutto) un uso più professionale di una piattaforma che spesso le aziende consultano in vista di una possibile assunzione: col risultato che ai post personali si preferiscono sempre più i contenuti che veicolano una buona immagine di sé.

La fuga dei millennials potrebbe invece risentire del fascino esercitato da social media come Snapchat e Instagram (che comunque è una controllata di Facebook); ma, più verosimilmente, è dovuta all'impennata di iscrizioni su Facebook da parte di utenti adulti e anziani, causa di un effetto Grande Fratello che ha allontanato i teenager verso piattaforme in cui non rischino di essere sorvegliati dai propri genitori.

Qualche settimana fa, Zuckerberg aveva dichiarato che il 2017 era stato un anno difficile per la sua società, malgrado gli utili record. Il 2018, però, rischia di mettere davvero a dura prova le capacità del fondatore di Facebook, perché in gioco non c'è più soltanto il prestigio dell'azienda di Menlo Park - e neppure la sua solidità economica: in palio, questa volta, potrebbe esserci la sopravvivenza stessa di Facebook.