A Pechino il Covid-19 uccide un'intera famiglia. Si tratta del regista cinese Chang Kai, noto per le sue produzioni agli Hubei Film Studios, suo padre, sua madre e sua sorella. É successo tutto nel giro di poche settimane: i componenti del nucleo si sono contagiati tra loro e sono morti, uno alla volta, a causa della polmonite innestata dal coronavirus.
Il primo ad ammalarsi a metà gennaio è stato il padre di Chang; il regista ha tentato di portarlo in uno degli ospedali di Wuhan, ma senza alcun esito. Le cliniche erano piene di gente gravemente malata, in isolamento, e non vi erano posti liberi.
Secondo la normativa vigente in termini di quarantena, Chang Kai è stato costretto a portare suo padre a casa, dove si sarebbe preso cura di lui fino al 28 gennaio, data della sua morte. Nel frattempo anche la madre del regista ha cominciato a manifestare i primi sintomi ed è morta il giorno 2 febbraio. Chang Kai e sua sorella si sono ammalati il giorno prima della morte della madre. Il regista è deceduto il 14 febbraio e sua sorella è deceduta subito dopo; adesso anche la moglie di Chang è in condizioni critiche: si teme per la sua sorte. L'unico a salvarsi è stato il figlio che al momento dell'accaduto era a Londra. Chang Kai ha lasciato a quest'ultimo, agli amici e a tutti i suoi cari un biglietto: "Addio a quelli che amo e a quelli che mi hanno amato".
Parole semplici ma incisive che il regista pare abbia voluto regalare a coloro che l'hanno sostenuto e a ciò che resta della sua famiglia.
La tragedia è imputabile ad una quarantena 'mal gestita'
Gli ospedali di Wuhan, epicentro dell'epidemia, non sono riusciti a gestire tutti i casi di coronavirus, in quanto i posti letto disponibili scarseggiano.
Da qui la scelta di costruire un ospedale in 6 giorni per sopperire alle necessità e aggiungere 1.000 posti letto esclusivamente per i malati di Covid-19. L'impresa non è servita però a salvare Chang Kai, morto con la sua famiglia senza fare ingresso in ospedale. Chen Bo, professore dell'università di scienza e tecnologia di Huazhong ha portato alla luce la questione di una quarantena inizialmente gestita male dalle istituzioni: la scelta di isolare i malati nelle proprie abitazioni e quella successiva di curarli in appositi centri pubblici, secondo il rinomato professore, potrebbe infatti aver provocato gruppi di contagiati nel nucleo di ogni organizzazione ed aver favorito la successiva diffusione del virus su scala nazionale con conseguente aggravio della situazione iniziale.
La Cina ha 'robotizzato' gli ospedali per gestire l'epidemia
Intanto sono arrivati "nuovi ausiliari" negli ospedali cinesi; si tratta di robot 5G, ovvero di automi connessi alla rete capaci di fornire ai pazienti informazioni in merito alla diagnosi e di disinfettare gli ambienti sottoposti alla quarantena. Si tratterebbe di una vera e propria evoluzione in campo medico che sta migliorando l'efficienza dei trattamenti e le tempistiche di soccorso. Il costruttore di robot Siasun e l'Istituto per l'Automazione di Shenyiang hanno brevettato ulteriori nuovi automi capaci di eseguire dei test orofaringei, utili per eseguire una prima diagnosi sui malati di coronavirus.
Dal temuto coronavirus è insomma nato qualcosa di positivo: nuovo personale "robotico" che potrà in futuro essere sempre utile nei casi di emergenza.