Dopo ben dieci anni e la celebrazione di cinque processi, finalmente viene scritta la parola fine sulle cause che portarono alla morte di Martina Rossi, ventitreenne genovese che quel 3 agosto del 2011 precipitò dal balcone dell'hotel di Palma di Maiorca dove si trovava in vacanza con le amiche. Non si trattò di un suicidio, dunque, ma di un incidente per sottrarsi a un tentativo di violenza sessuale di gruppo.

La Cassazione accoglie le richieste della Procura Generale e conferma le condanne a 3 anni per un tentativo di stupro di gruppo

Il collegio di giudici della Suprema Corte di Cassazione, dopo due ore di camera di consiglio, ha confermato la pena di tre anni di carcere per Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni, trentenni toscani, già condannati a 6 anni nel processo di primo grado da parte del Tribunale di Arezzo, poi assolti dalla Corte d'Appello di Firenze e da ultimo a seguito di una sentenza da parte della stessa Cassazione, nuovamente condannati a 3 anni dai giudici dell'Appello fiorentini. Il reato perseguito è quello di violenza sessuale di gruppo, così come richiesto durante la requisitoria dal Procuratore Generale, Elisabetta Cennicola, perché Martina quella sera non scelse di togliersi la vita, come sostenuto dalla difesa tecnica di Vanneschi e Albertoni, ma scivolò dalla balaustra del balcone di quella stanza d'albergo nel tentativo di sfuggire a uno stupro di gruppo.

Passate quindi in pieno le ricostruzioni operate nei processi di primo e secondo grado che avevano dimostrato la presenza di entrambi gli imputati sul luogo della tragedia quella notte, rei di aver generato in Martina uno stato di assoggettamento psicologico e di paura tale da sentirsi costretta a fuggire, scavalcando maldestramente la balaustra di quel balcone, senza alcuna intenzione suicida, però. L'altro capo di imputazione, ossia la morte come conseguenza di altro reato, era stato prescritto, dopo essere stato riconosciuto nel primo grado di giudizio. Prescrizione che sarebbe intervenuta non più di tardi del 16 ottobre anche per l'addebito della tentata violenza sessuale di gruppo, se ieri sera non fosse stata emessa la sentenza da parte della Corte di Cassazione.

Bruno Rossi, padre di Martina, accompagnato dalla moglie, non nasconde tutta la sua commozione, dinanzi alla sede della Suprema Corte, dove ha atteso la sentenza con una indomita forza e speranza di ridare dignità al nome della figlia, una figlia, una giovane donna, strappata alla vita e ai suoi cari in modo così assurdo, vile e irrispettoso che solo la giustizia è capace di riequilibrare. Una sentenza non potrà certo lenire il dolore 'eterno', come lo definisce Bruno Rossi, padre di Martina, che insieme a sua moglie ha patito la lacerazione violenta e inconsolabile dell'unica figlia che la vita gli aveva donato.