Maurizio Piovanelli, 61 anni, continua a chiedere verità e giustizia per la figlia Desirée, uccisa a 14 anni il 28 settembre 2002 a Leno (Brescia). Per il suo omicidio sono stati condannati tre ragazzi, minorenni all'epoca dei fatti (che hanno già scontato la loro pena) e un adulto, ancora in carcere. Tuttavia, per l'uomo, il caso di cronaca nera non è ancora risolto e per questo chiede di riaprire le indagini.

"Negli anni - ha spiegato alludendo a una rete di pedofili - sono uscite cose talmente strane da avermi convinto a credere che c'era sotto qualcosa di molto grosso".

Desirée forse vittima di una rete di pedofili

Desirée Piovanelli è stata uccisa a coltellate il 28 settembre 2002 da tre ragazzi poco più grandi di lei, Nicola, Nico e Mattia, e da Giovanni Erra, tutt'ora detenuto nel carcere di Bollate. Il suo corpo senza vita è stato rinvenuto sei giorni più tardi, all'interno di Cascina Ermengarda, a poche centinaia di metri dalla sua abitazione.

Durante il processo è emerso che la ragazzina di Leno è stata uccisa al culmine di un tentativo di abuso.

Papà Maurizio, però, crede che questa sia una "verità parziale" e che sua figlia sia stata vittima di un sequestro finito male, organizzato da una rete di pedofili ancora oggi attiva nella Bassa Bresciana. L'uomo, infatti, non ha mai creduto che la responsabilità di quanto accaduto possa essere circoscritta semplicemente al "branco". "L'ho detto fin da subito - ha ribadito - E ne son sempre più convinto. Nel corso degli anni sono emerse cose talmente strane che mi hanno portato a credere che sotto c’era qualcosa di molto grosso". Poi, ha aggiunto: "Ci sono delle voci del paese e ci sono anche le persone con cui ho parlato. Perché - si chiede - non sono state prese in considerazione?".

Il Dna sul giubbotto di Desirée Piovanelli

Nel corso degli accertamenti effettuati sul corpo senza vita di Desirée Piovanelli è stata isolata, sul giubbotto che ragazzina indossava, una traccia di Dna mai attribuita. "Questa - ha sottolineato Maurizio - è un'altra cosa che non capiamo. Perché questo Dna, che è ancora disponibile, non è stato comparato con quello di certe persone?". Secondo il papà di Desy qualcuno, a Leno (comune di 14.000 abitanti) sa cosa sia accaduto veramente alla figlia, o comunque sia a conoscenza di tante cose, e spera che si faccia avanti, che parli. "Alcune di queste persone - ha proseguito - le ho conosciute e qualcuno ha già parlato, qualcun altro ancora no. Tuttavia, non abbiamo avuto alcun risultato".

Piovanelli, che si augura la riapertura dell'inchiesta per comprendere quello che ancora manca, parlando anche a nome della sua famiglia, si è detto profondamente deluso dalla giustizia italiana.

"Sinceramente - ha sottolineato - non capisco perché non abbiano svolto delle ulteriori indagini. All'epoca - ha concluso - si è fatto tutto in fretta e, fidandosi delle versioni dei ragazzi, i processi sono stati celebrati in tempi record".