Dopo le accuse arrivate negli scorsi giorni da parte di due alpinisti austriaci, Wilhelm Steindl e Philip Flämig, di negligenza durante la scalata al K2 che è costata la vita a un portatore sherpa alla prima esperienza su un 8000, Kristin Harila ha voluto rispondere alle critiche.
Con una lunga intervista rilasciata a Sky News e riportata sul The Guardian ha sottolineato come la sua squadra si sia adoperata per tentare di salvare e assistere in tutti i modi lo sherpa, nonostante le condizioni pericolose in cui si trovavano al momento dell'incidente avvenuto nel famigerato "collo di bottiglia", un passaggio obbligato molto pericoloso per arrivare alla vetta del K2.
La risposta alle critiche di Kristin Harila
La scalatrice, autrice del record di 14 vette sopra gli 8.000 metri raggiunte in soli tre mesi ed un giorno, ha voluto rispondere alle accuse che le sono state mosse per non aver soccorso lo sherpa che la stava accompagnando nella scalata sul K2 affermando che "La mia squadra ha provato in tutti i modi a salvare la vita di Hassan, nonostante fossimo nel collo di bottiglia, posto che non permetteva troppo movimento". Il portatore si stava occupando di installare delle corde fisse a monte della spedizione che avrebbero aiutato gli alpinisti a superare un seracco quando è caduto rovinosamente rimanendo ferito gravemente.
Secondo la ricostruzione della scalatrice "Quando abbiamo visto cadere lo sherpa ci siamo diretti a soccorrerlo e siamo riusciti a portarlo vicino alla via di salita, dove però il sentiero era percorribile solamente da una persona alla volta".
Harila ha continuato affermando che "La squadra ha soccorso subito Hassan quando abbiamo visto che è scivolato e finito a testa in giù nella neve, ma in quel punto il sentiero stringe e diventa molto pericoloso; qualcuno ha passato il suo ossigeno allo sherpa, anche una bottiglia di acqua calda, ma in quel punto recuperarlo era complicato, e solo dopo un'ora e mezza abbiamo deciso di dividerci e salire perchè è arrivata una chiamata radio che ci parlava di problemi anche in cima, chi stava installando corde fisse aveva avuto dei problemi".
La notizia della gravità del fatto è arrivata solo in cima alla montagna
Nella sua dichiarazione riportata la scalatrice ha sottolineato come "Quando siamo arrivati in cima alla montagna ci hanno comunicato che la situazione dello sherpa si era aggravata; mi spiace molto per quanto accaduto, per lui e per tutta la sua famiglia, ma abbiamo provato a fare di tutto per salvare la vita dello sherpa".
"Non siamo riusciti a riportare il corpo perchè sarebbe servita una squadra più numerosa per poterlo fare in sicurezza", ha concluso la scalatrice.
Mohammed Hassan era un portatore alla sua prima esperienza su una grande montagna a 8000 metri e si sarebbe messo a disposizione per pagare le cure mediche alla sua famiglia, in particolare per la madre che avrebbe una grave malattia necessitante di un percorso terapeutico molto costoso, per il quale è stata avviata anche una colletta internazionale da altri alpinisti.