La migliore definizione data alla fantascienza è di Fruttero e Lucentini, gli scrittori responsabili di aver portato la science fiction anglo-americana in Italia, "un genere che ha origini popolari ma nobili ascendenze"; si riferivano alle tematiche a volte speculative e filosofiche che fanno parte della letteratura e in parte minore del cinema di questo genere. Il film Interstellar non sarà ricordato tra 50 anni come un capolavoro assoluto, ma tende a farsi prendere sul serio, per aver avuto un fisico teorico (Kip Thorne) come consulente per la parte scientifica del film, che costituisce parte fondamentale ai fini della comprensione della trama, e per aver disegnato, come in altri lavori di Christopher Nolan, una traiettoria complessa e a più livelli di lettura, che merita più visioni per essere compresa ed apprezzata a pieno.

La trama è oggettivamente originale; sullo sfondo di una Terra morente per una misteriosa catastrofe ecologica, un manipolo di eroici astronauti vengono mandati in gran segreto dalla Nasa alla ricerca di pianeti abitabili in un'altra galassia, raggiungibile tramite un wormhole, ovvero una specie tunnel che permette di sfruttare le caratteristiche dello spazio-tempo, che secondo la visione di Einstein è curvo, e quindi consente delle scorciatoie per raggiungere punti lontanissimi dalla Terra in pochi anni by-passando così il limite della velocità della luce. In questo contesto si inserisce il problema della relatività che permette a chi è nello spazio di rallentare notevolmente il proprio tempo soggettivo rispetto a chi si trova sulla Terra, col rischio di non poter vedere più i propri cari una volta tornato sul pianeta ammesso che riesca nell'intento.

Questa è la cornice che fa da sfondo ad una doppia narrazione, una scientifica, o pseudo tale secondo alcuni puristi del rigore scientifico, e una umana ed emotiva, che tratta del dolore dell'abbandono, della solitudine, delle debolezze anche meschine che possono coinvolgere chiunque provocando improvvisi colpi di scena.

Non avendo un bagaglio scientifico tale da poter confutare i possibili o certi errori scientifici del film ci sembra che la principale debolezza dell'ultimo lavoro di Nolan siano invece i dialoghi, a volte veramente astrusi o scadenti come in una sdolcinata soap opera.

E' evidente che il regista anglo-americano abbia strizzato l'occhio all'Odissea di Kubrik e aggiungiamo noi a Solaris di Tarkovskij (nella cognizione del dolore di una perdita), ma la scelta di Nolan non è di lasciare misteri per strada come ha fatto il filosofo Kubrik, bensì, da bravo ingegnere del cinema, di spiegare ogni dettaglio nella parte finale, esponendosi così alle critiche degli spettatori più puntigliosi.

Si esce dal cinema convinti di aver visto un buon film, sostenuto da interpretazioni convincenti, soprattutto il bravissimo Mcconaughey, eccellenti effetti visivi e sonori, ma con vistose ingenuità presenti qua e là, compreso il rischioso e per molti versi debole finale.