Stone Milker, la traccia d'apertura, è ammaliante, con gli archi che si intrecciano come fossero rami intricati e voluttuosi fra le candide volute della voce di Björk. Ma subito c'è una rottura, tangibile e stridente. Con Lion Song l'armonia fra voce e strumenti sembra spezzarsi, andare in frantumi, e i voicing diventano tutti e solo vocali. Tipici di Björk, assieme ai nervosi rotacismi, quasi a tessere un elogio autoreferenziale e, forse, a dipingere i frammenti di un vetro rotto in cui anche la propria integrità subisce un duro colpo, finendo per scompattarsi in varie frequenze. Voce, archi e squilibri elettronici diventano specchio di un'anima in caduta libera. La disgregazione di una storia d'amore ne è il tratto distintivo, il filo conduttore dell'intera opera. Intima, sentimentale, fragile, Björk trema e fa tremare, a tratti appare timida, quasi impacciata. Ma ancor di più, appare sconvolgentemente donna.
A tre anni dall'uscita di Biophilia, uno dei suoi lavori più ambiziosi, Vulnicura mostra l'ennesimo nuovo volto dell'artista islandese. Costretta alla pubblicazione anticipata a causa di un leak che ha fatto circolare illegalmente sul web l'album con due mesi d'anticipo sulla data ufficiale di rilascio, prevista per marzo, Björk può adesso però godere dell'estrema positività dei primi feedback e recensioni ricevuti. Il paragone con Biophilia sorgerebbe spontaneo, eppure non è operabile: le intenzioni sono troppo diverse, le tematiche non lo consentono, gli stati d'animo da cui sgorgano sono agli antipodi.
Vulnicura nasce dalle ceneri della relazione ultradecennale con l'artista Matthew Barney. Un album prettamente introspettivo e autobiografico dunque. Il racconto di una fine, con tutti i risvolti emotivi che ne conseguono. Sonorità avvicinabili a Vespertine e, in misura minore, a Homogenic. L'incomunicabilità del dolore si esprime nell'apparente incompiutezza delle singole tracce e, in generale, dell'album nella sua interezza. Così quelle tre parole sospese a mezz'aria - and her daughter - ripetute in coda alla traccia di chiusura, ne esemplificano alla perfezione l'essenza concettuale. L'incapacità di trovare un perché e l'impossibilità di fingersene uno su misura che possa pacificare l'animo. Ma segnali di ripresa appaiono già dopo Black Lake e NotGet, due vere gemme musicali. In esse torna l'intrico armonioso di voci e archi presente in Stone Milker.
Melodie lineari, lasciate quasi esclusivamente alla voce di Björk, armonie semplici, un beat leggero, a volte distoniche le inserzioni strumentali di archi e synth, che restano spesso sullo sfondo. Vulnicura è un album "facile", quasi scarno, ma il suo impatto emotivo è devastante. Le liriche e i loop melodici aspri e crudi (come quelli di Antony Hegarty, in Atom Dance, la cui voce si sposa alla perfezione con le vocalità magmatiche di Björk), creano un vortice di sensazioni impossibile da descrivere e dipanare. Rancore, dolore, sconvolgimento e disillusione: tutto il sapore, nelle sue molteplici sfumature, di una storia d'amore che si chiude. E Björk non grida. Non stavolta.