È in scena allo Spazio Tertulliano di Milano, dal 20 al 22 febbraio 2015 "Sotto Ponzio Pilato" un testo scritto e diretto da Francesco Sala, assistente alla regia Cristiana Marchetti - scene e costumi Laura Giannisi luci Angelo Ugazzi - elaborazioni sonore Carlo Putelli costruzioni scenografiche Armando Raponi produzione Compagnia ACTS. In scena Francesco Maria Cardella, con una recitazione potente e convincente affiancato dalla bella ma anche brava e talentuosa Carmen di Marzo, che veste i panni di più personaggi, anche quelli del Gesù processato, con perfetta e sicura sincronia dei ruoli.

Lo spettacolo, già presentato in anteprima nazionale al Festival di Ponza la scorsa estate, ci fa rivivere la storia del governatore della Giudea del I secolo, noto a tutti per uno degli episodi più celebri della storia biblica: la condanna a morte di Gesù. I Vangeli raccontano che, sebbene Pilato fosse consapevole dell'innocenza di Cristo, non prese le sue difese, compiendo l'emblematico gesto di "lavarsi le mani". Tuttavia, sul suo destino c'è un alone di leggenda, nella quale si possono leggere tanti episodi della storia, nei quali riconoscere tanti altri uomini che, sia pure in modo non palese, hanno compiuto il medesimo gesto.



Gesto che viene compiuto anche nella nostra quotidianità da amici, colleghi, per poi salire nella scala delle responsabilità ed arrivare a politici locali e nazionali, che in presenza di dubbi su vicende grandi e piccole, fanno la loro personale analisi e poi non riescono a prendere una posizione, lavandosene le mani, delle conseguenze più o meno gravi, che ricadono su altri laddove un loro schieramento potrebbe cambiare il corso delle cose.





Nel caso del testo del Vangelo Pilato fu involontario strumento di Dio, perché si adempisse la profezia ed il sacrificio di Cristo portasse beneficio all'intera umanità. Da un'azione negativa ne può derivare una conseguenza positiva, che nulla toglie però all'ignominia del gesto. Il non schierarsi, il non essere capace di dare la propria opinione, di prendere posizione, anche mettendo a repentaglio la propria carriera, la propria apparente tranquillità, ma scendendo a compromessi con la propria coscienza è abominevole e degno di disprezzo.





Dante nella sua Divina Commedia, li chiama "Ignavi" e, non trovando un luogo dove collocare queste persone, li relega in un luogo non definito, perché mai seppero avere un ruolo, ma si sono limitati ad adeguarsi sempre a quella del più forte. Dante, ha il disprezzo totale verso questa categoria di peccatori e li giudica indegni di meritare sia le gioie del Paradiso, sia le pene dell'Inferno, perché non schierati né a favore del bene, né a favore del male.

Essi saranno costretti a girare nudi per l'eternità inseguendo una bandiera e saranno punti e feriti da vespe e mosconi, così il loro sangue, mescolato alle loro lacrime, sarà succhiato da fastidiosi vermi.



Perché tanto accanimento? Perché dal punto di vista teologico, ma anche morale e sociale, la scelta fra Bene e Male, deve obbligatoriamente essere fatta. Il disprezzo del poeta verso questa categoria di peccatori è massimo e completo e non può che essere comprensibile e condivisibile da chiunque voglia vivere serenamente e coerentemente, il rapporto con Dio e i propri simili.