Sono passati ormai diciotto anni da quel maledetto 11 gennaio 1999, quando Fabrizio De Andrè morì all'Istituto dei Tumori di Milano a causa di un carcinoma polmonare. Aveva 58 anni. Faber, come lo appellavano i fan, aveva da poco terminato il suo ultimo tour di cui è uscito da poco un film documentario incentrato sull'ultimo concerto tenuto al Teatro Bravaccio di Roma. Oggi, in occasione dell'anniversario della scomparsa, vogliamo ricordarlo con 3 canzoni che hanno segnato alcune delle tappe fondamentali della sua produzione.
Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poiters
Scritto insieme a Paolo Villaggio, il testo racconta il fantastico viaggio di ritorno compiuto da Carlo Martello dopo aver combattuto e vinto le armate islamiche dei Mori. La canzone narra di una vicenda sessuale in chiave comica, non rinunciando per questo a una sottile denuncia sulla condizione della donna-oggetto: il Re incontra una bellissima fanciulla la quale è costretta a soggiacere alle volontà del Signore. Dopo aver compiuto il suo "dovere" però, la ragazza presenta il conto a Carlo, il quale, da "gran cialtrone" fugge a cavallo del suo destriero. Famosa nel testo anche la citazione dantesca "ma più dell'onor potè il digiuno", ripresa dalla scena del Conte Ugolino.
Un giudice
Contenuta nell'album "Non al denaro, non all'amore, né al cielo", Un Giudice racconta la storia di Selah Lively, un uomo deriso fin dall'infanzia a causa della bassa statura (un metro e mezzo si legge nel testo) il quale si riscatta diventando giudice. L'uomo può finalmente vendicarsi della sua condizione di infelicità grazie al potere conferitogli dalla legge, condannando a morte e generando terrore negli occhi di coloro i quali lo avevano irriso (e affidarli al boia, fu un piacere del tutto mio).
Tuttavia anche il giudice non è esente dal giudizio di una figura più potente di lui, così che, nell'ora dell'addio, egli non può fare altro che genuflettersi, non conoscendo affatto la statura di Dio.
Fiume Sand Creek
Contenuta nell'album L'Indiano, Fiume Sand Creek, racconta una storia realmente accaduta, il massacro dei nativi americani Cheyenne e Arapao avvenuto il 29 novembre 1864 per mano delle truppe del Colorado, massacrando indiscriminatamente donne e bambini; l'episodio è visto attraverso gli occhi di un bambino sopravvissuto. Il generale di vent'anni, citato nel testo è George Custer ma si tratta di una licenza poetica: in realtà, a comandare l'esercito americano fu il generale John Chivington.