Sognare è vivere. Questo è il titolo dell’ultimo film di Natalie Portman. La brillante attrice oltre a vestire i panni della protagonista è anche produttrice, sceneggiatrice e regista dell’opera. La pellicola, uscita nelle sale americane nel 2015, arriva anche in Italia a Giugno.
Intime atmosfere familiari fatte di gioia e infelicità si saldano agli eventi storici che hanno portato alla nascita dello stato d’Israele. Fania, la protagonista, innesta nel racconto altre narrazioni: tra il passato trascorso in Europa, prima che l’antisemitismo divampasse, e il futuro, che vede riflesso nel volto del suo bambino.
La struttura articolata del racconto
Sogno e realtà, come colori di un quadro di Monet, si mischiano creando sfumature emotive. Squarci temporali si aprono e si spazia: dalla serenità di un abbraccio materno all’asfissia dell’agire che disorienta e commuove. Al grido soffocato della disperazione, che si traduce in violenza e sangue, segue il sereno, tra sorrisi d’accettazione e sguardi di tenerezza. Violoncelli e viole saldano gli stati emozionali dei personaggi con l’intreccio narrativo. Le variazioni armoniche come mani guidano lo spettatore, ma senza mai farlo uscire dal racconto, allentano e stringono la presa con una ritmica mai sopra le righe. Dialoghi, immagini e suoni disegnano il mondo del possibile, in cui realtà e sogno coesistono, per poi evolvere e dissolversi nella dimensione quotidiana.
Qui tutto si fa piatto e l’immaginario viene meno. Nel punto in cui l’orizzonte d’aspettative s’infrange sulle rocce del vivere, e dove quell’unità del noi è fagocitata da un ego passivo e aggressivo, il sacrificio è ineluttabile. Come il sole muore per cedere il passo alla luna, così Fania eclissa se stessa per amore della famiglia.
Scambiare la sensibilità per la verità, rispondere sempre con generosità all’indolenza, crea per lei una terra di latte e miele: un luogo esente dal conflitto. Tuttavia, l’Eden, la terra promessa della condizione umana, è praticabile solo quando tutti i suoi abitanti sono disposti a coltivare l’arte della rinuncia. Al contempo, il vivere come “agire secondo la volontà di potenza” –ovvero realizzarsi- implica la resa della pace, l’annientamento dell’altro, e lo schieramento delle forze per la conversione del sogno in realtà.
In questa lotta per la trasformazione, l’autoaffermazione di Fania è presente. Essa è così forte da essere generatrice del fare. All’opposto, la sua abdicazione né arresta il moto, consegnando la penna per la scrittura dell’epilogo a un’alterità.
Una domanda allo spettatore
Meglio allora sognare senza mai vivere quel sogno, come sentenzia la voce narrante? O meglio scegliere la morte, se il vivere è rifiutare i sogni? Lottare o arrendersi? Qualunque sia la risposta, ancora una volta, la ragazza prodigio del Cinema ha mostrato il suo grande talento. La sua prima opera da regista emana quell’eleganza e quell’espressività che fanno di Natalie Portman un gioiello raro della settima arte.