La cucina coreana è ormai diventata un eccellente prodotto culturale che ha catturato, negli ultimi anni l'interesse internazionale e questo è potuto accadere grazie al Hallyu, un fenomeno derivante dal neologismo coniato sul fare degli anni novanta a opera di un giornalista cinese, diventato poi globale agli inizi del XXI secolo, che ha come protagonista l’avanzata della cultura coreana, in senso lato, nel mondo occidentale attraverso film e drama.

Queste produzioni audiovisive di paternità coreana risultano avvincenti, tecnologicamente sofisticate e ideologicamente attente all’introspezione.

Questo perché il Ministero della cultura sudcoreano, fin dal 1995, ha puntato sul settore dei media, incoraggiando molti investitori ad espandersi nel settore cinematografico e mediatico, dando vita a una vera e propria operazione di marketing per contribuire alla mutazione della “k-cultura” in prodotto da esportare. Una sorta di finger-food da poter ingoiare con gli occhi e, come vedremo in seguito, con tutti gli altri sensi. Le loro parole fatte di suoni, immagini, giochi hanno consegnato alla società occidentale il trailer di un popolo con una forte settorializzazione sociale e un certo “patriottismo culinario”.

Un proverbio coreano recita: “le parole anche se non hanno gambe viaggiano per mille miglia”.

È così che, per mille miglia al galoppo di quella che è ed è stata l’onda coreana (o per meglio dire uno tsunami), anche il k-food ha beneficiato di questi riflettori. Complice la globalizzazione e il già citato Hallyu, intesi come fenomeni culturali e politici, anche la consapevolezza dei valori del Cibo locale è accresciuta notevolmente: l’hanshik viene visto, quindi, come mezzo per promuovere l’identità nazionale, infatti, non è difficile trovarlo come “star” all’interno delle pellicole.

L’impatto del cibo e della sua rappresentazione come espressione “artistica” nei prodotti multimediali coreani è datato inizio anni Novanta. Dopo il grande consenso internazionale incontrato dal drama Taejanggum, dove il cibo coreano è diventato, nella sua rappresentazione visiva, uno strumento di espressione artistica che ha contribuito a determinare la percezione del cibo in generale e ha influito profondamente sulla sua evoluzione, nel 2010 il governo di Lee Myungbak istituì la “Agenzia per lo sviluppo e globalizzazione dell’hanshik” al fine di promuovere la cucina coreana in tutto il mondo.

Infatti, la serie tv, trasmessa nel 2004 in 91 paesi, ha raggiunto un enorme successo che ha contribuito a l’hanshik come simbolo della cultura coreana nel campo dell’entertainment internazionale.

In Taejanggum, ogni piatto racconta la sua storia evocando nello spettatore la sinestesia dei colori e dei gusti. Il cibo entra a far parte della trama ricoprendo il ruolo di “strumento narrativo”, viene utilizzato anche come espediente finalizzato al racconto della storia del personaggio principale. Ci sono stati effetti immediati in seguito all’inaspettato indice di ascolto: il miglioramento dell’immagine della Corea a livello internazionale, la creazione di un simbolo culinario nazionale, l’aumento delle vendite di prodotti alimentari targati made in korea e nel settore turistico la registrazione di un interesse crescente per il cibo coreano.

Il k-food, parte essenziale nella narrazione dei k-drama e k-film, come per i due piccioni con una sola fava, è un elemento dal duplice obiettivo: diffondere all’estero la cultura culinaria tradizionale e riaffermarla e consolidarla nel popolo coreano.

Il cibo dietro la cinepresa muta da oggetto a soggetto

Ebbene sì, tutto questo ha contribuito anche alla divulgazione della cucina coreana la quale non può essere scissa dal significato di popolo coreano. Cosa voglio dire: il legame tra cibo e cultura coreana, che possiamo definire azzardando sia fisico che mentale, è inseparabile dal concetto di Corea, in quanto nazione, e dal concetto di coreani in quanto popolo.

Se si va ad analizzare quello che è il contesto coreano seguendo un approccio cronologicamente databile, si può osservare che da un lato, sia il cibo che le sue rappresentazioni, sono visti come oggetti in quanto beni materiali.

D'altra parte, invece, possono essere considerati come soggetti che hanno propria vita e potenza comunicativa. Il cibo è un veicolo per trasmettere una ricchezza di informazioni per quanto riguarda le gerarchie sociali, nonché culturali, storiche e i cambiamenti economici avvenuti nel tempo.

Il k-food è il soggetto e l’oggetto, insieme alle sue rappresentazioni, confermando i loro ruoli attivi come agenti della comunicazione visuale. Interagiscono e si influenzano, non solo dal punto di vista percettivo/ evocativo, ma assumono una funzione attiva anche fuori dallo schermo creando una sorta di relazione tra cibo e spettatore. È proprio il kimch’i che da complemento oggetto diventa soggetto nella sua forma attiva.

Infatti, è l’esempio perfetto di merce visuale nel contesto cinematografico coreano. È una merce che possiede una sua biografia e in cui si innesca un processo di “glocalismo ”; il piatto tradizionale coreano si decontestualizza e riclassifica in soggetto, da oggetto che fu, trasmutando in alimento che definisce i coreani.

C’è stata proprio una presa di coscienza del suo valore culturale e storico, dapprima a livello nazionale e poi successivamente anche sul piano globale, rivestendo così una funzione identitaria.

Il kimch’i, la merce visuale che definisce i coreani

“Buono da pensare e da mangiare”

Il kimch’i è un piatto di verdure fermentate che è stato sviluppato proprio all'inizio della storia coreana.

Tra gli anni 80/90, in seguito a un forte flusso migratorio verso le Americhe, il popolo coreano veniva identificato con l’appellativo di “popolo del kimch’i”.

Quindi, è uno dei piatti più rappresentativi della cucina coreana ed è stato elogiato in tantissimi articoli per le sue proprietà anticancerogene, il suo valore nutritivo, nonché anche per le sue numerose varianti che creano sapori e gusti estremamente diversi. Di Kimch’i non ne esiste una sola varietà, ma il tipo più comune viene preparato mescolando cavolo bianco salato, il più comune cavolo cinese, con pasta di kimch’i. La pasta di kimch’i è a base di peperoncino in polvere, aglio, cipollotto, zenzero e ravanello coreano. Viene aggiunta in genere anche la salsa di pesce o frutti di mare freschi.

Nel 2006 Health Magazine, il mensile americano, ha selezionato il kimch’i come uno dei 5 alimenti più salutari al mondo. Lo sa bene il popolo coreano che di kimch’i non ne fa mai a meno e nell’ alimentazione è presente, se non sempre, quasi sempre ad ogni pasto.

All’evoluzione del kimch’i da piatto tradizionale coreano (oggetto) ad alimento che definisce i coreani (soggetto) hanno contribuito diversi fattori: primo tra tutti i Giochi olimpici del 1988, segue la contesa con il Giappone per l’origine del kimch’i, ovviamente rivendicato come prodotto autoctono solo dopo all’aumento delle vendite di quest’ultimo all’estero ed infine i media, come già detto, soprattutto drama e film.

La Corea un esempio virtuoso da emulare

Il cibo, quindi è un oggetto quando è semplicemente cibo che sta per essere consumato, ma viene anche guardato e agisce come soggetto protagonista attivo. Ha una sua carica comunicativa, ricopre il ruolo e la funzione di essere visto ma anche di guardare ed interagire con gli spettatori. In questo senso, il cibo coreano è carico di significati e insieme alle sue rappresentazioni si influenzano reciprocamente ed interagiscono sia sul piano percettivo che evocativo. Riesce a coinvolgere tutti i sensi, primo fra tutti il gusto che consente l'espansione della sua popolarità. Completa il quadro la vasta gamma di significati che il cibo coreano porta con sé e le percezioni evocative che sa suscitare nello spettatore.

Tutto questo ha portato il cibo e di conseguenza la cultura coreana ad essere conosciuta come lo è oggi e a restituire un orgoglio culinario, nonché un’identità nazionale, al popolo coreano. Questa riconferma nel popolo coreano di questo patriottismo culinario ha portato benefici e consensi che hanno inciso anche sulla valorizzazione del territorio e l’incremento delle presenze turistiche nel Paese. Il turismo gastronomico, quindi, cresce grazie ai film e ai drama, all’esaltazione del cibo tradizionale e ai suoi significati.