Renzi parla di tagliare le tasse, ogni volta che ne ha la possibilità. Secondo il Premier il suo partito ed il suo Governo non sono il partito ed il Governo delle tasse, anzi, saranno ricordati come quelli che le hanno abbassate. Sarà che avrà un “coniglio nel cilindro”, ma per il momento nessuno se ne sta accorgendo e per il futuro, all’orizzonte più che tagli si profilano aumenti che sicuramente non fanno stare tranquilli i già iper tartassati cittadini della penisola. Sull’argomento la CGIA di Mestre ha prodotto uno studio che spiega le clausole di salvaguardia che attendono Renzi ed il suo Esecutivo e che sono talmente aspre che ben difficilmente Renzi riuscirà nel suo intento di riduzione del prelievo fiscale.
O almeno non ci riuscirà così nettamente come dice lui.
Le clausole di salvaguardia cosa sono?
Le clausole di salvaguardia, non sono altro che patti che il nostro Governo ha stretto con l’Unione Europea e che sono inserite nelle leggi di Stabilità. Non sono altro che un salvagente da usare nel caso in cui il Governo non riesca a reperire i fondi che ha promesso di reperire all’Europa. Per disinnescare queste clausole e per sterilizzarle senza aumenti di tasse, il Governo deve incassare soldi in un altro modo e la soluzione della spending review è quella che stanno adottando ma di cui i risultati sono ancora poco chiari o scarsi. Per evitare che scattino le cosiddette clausole di salvaguardia, entro la fine del 2018 il Governo dovrà recuperare 75,4 miliardi, questa è l’impegno preso con la UE.
È evidente che se non si trovasse un altro modo, questi miliardi corrisponderebbero al surplus da chiedere ai cittadini con l’aumento delle tasse, tra le quali IVA ed accise.
Cosa dice la CGIA di Mestre?
La prima scadenza non è lontanissima, infatti è prevista per il 30 settembre. Il Governo per questa data dovrà trovare 1,4 miliardi di euro.
Non riuscendoci, scatterebbe l’aumento delle accise sui carburanti, oltre a un deciso incremento degli acconti Irpef ed Ires. Entro la fine di quest’anno, inoltre ci sarebbero da trovare altri 16 miliardi di euro. Anche in questo caso, in caso di fallimento, scatterà un primo aumento dell’Iva oltre che un aumento delle aliquote Irpef e la conseguente riduzione o eliminazione di detrazioni e deduzioni fiscali.
In un anno circa quindi, sarebbe possibile avere oltre 17 miliardi di maggior prelievo fiscale. Naturalmente, anche per il 2016 e per il 2017 saranno da recuperare altri fondi, nell’ordine di 30 miliardi all’anno, almeno in base ai patti stabiliti con la UE. Lo stesso meccanismo di aumenti, scatterebbe se non si riuscisse a recuperarli. In termini diversi, se tutto andasse male, gli aumenti dell’ IVA sarebbero ingenti, le aliquote passerebbero dal 10% al 12% nel 2016 ed al 13% nel 2017 per quella più bassa, e dal 22% a salire anno per anno fino al 25,5% nel 2018. L’IVA colpisce i consumi e di conseguenza aumenterebbe tutto a partire dai beni alimentari, quelli necessari.