Nei primissimi mesi del 2016 avevamo assistito a un calo quasi preoccupante dei prezzi del petrolio. Tra gennaio e febbraio, il costo di un barile era sceso ai minimi storici (a gennaio si era registrato il record negativo: il calo maggiore degli ultimi 12 anni). Da metà marzo circa, il trend si è invertito e il prezzo del cosiddetto ‘oro nero’ è risalito piano piano fino a tornare, nella giornata di oggi, alla soglia dei 50 dollari al barile. Il petrolio Brent, per l’esattezza, con scadenza a luglio, è attualmente salito a $50.03. Mentre il WTI non raggiunge quota 50 per una questione di centesimi: la quotazione massima registrata nella giornata di ieri è stata di $49.93.

I motivi dell’aumento

Uno dei motivi dell’aumento del prezzo è da ricercare negli incendi devastanti che hanno colpito il Canada alcuni giorni fa: si stima che circa 1 milione di barili al giorno sia stato distrutto durante gli incendi che hanno colpito il paese nordamericano. Il Canada è il maggiore fornitore degli USA e questo disastro ha di fatto diminuito le scorte petrolifere americane, facendo risalire il prezzo. Un altro fattore che ha sicuramente influito nell’aumento dei prezzi è la complicata situazione geopolitica della Nigeria (paese ormai da tempo minacciato dall’ISIS in cui sono avvenuti diversi attentati sanguinosi), che ha rallentato la produzione del greggio nel paese africano.

Il Dipartimento per l’Energia degli USA ha fatto sapere che, a seguito degli incendi in Canada, le scorte americane hanno subito un calo e, con ogni probabilità, continueranno a diminuire per tutta l’estate. Diversi esperti del settore hanno fatto notare che questo calo avrà effetti anche sui mercati globali, non solo su quello statunitense.

Questa situazione non fa ben sperare: India, Cina e Russia nell’ultimo anno hanno aumentato la richiesta di petrolio di circa 1 milione di barili rispetto all’anno precedente. E quando la domanda aumenta e la disponibilità diminuisce, l’effetto è uno solo: l’aumento dei prezzi. Si tratta di un’equazione matematica da cui non si sfugge.

Tra dubbi e strategie alternative

La Pioneer Natural Resources ha fatto sapere che, se nel 2017 il prezzo al barile WTI supererà i 50 dollari, inizierà a produrre petrolio autonomamente. I trader, però, suggeriscono cautela. Questi ultimi ritengono, infatti, che non appena i grandi raffinatori avranno acquistato il greggio di cui hanno bisogno per coprire il fabbisogno stagionale, è probabile che la domanda diminuisca e che quindi il prezzo subisca una nuova variazione in negativo. È stato fatto notare, infine, che nel 2015 il prezzo del petrolio era salito in modo molto simile nel primo semestre, per poi crollare nuovamente nella seconda metà dell’anno.