Ha quasi del paradossale la serie interminabile di errori, sviste e abbagli che ormai da tre anni caratterizza l'emblematica situazione dei Quota 96. Il primo errore di conteggio ha avuto inizio nell'ormai lontano 2011, quando nella fretta di mettere i conti pubblici in sicurezza l'allora Governo Monti non ha tenuto in considerazione che il settore dell'istruzione pubblica non segue l'anno solare ma quello scolastico. Un primo abbaglio di non poco conto, visto che in questo modo la Riforma Fornero ha condannato migliaia di insegnanti e lavoratori ATA ad una ferma lavorativa che può arrivare perfino a 7 anni oltre quanto sarebbe dovuto.
I nati 1951/52 con in requisiti necessari (annualità 35 di contributi e 61 anagrafici, oppure rispettivamente 36 e 60) avrebbero infatti dovuto maturato l'agognato traguardo pensionistico proprio nel 2011.
La seconda svista è sulla natura del contendere
Quanto appena sottolineato è ormai ben risaputo da chi si occupa della questione, ma è bene ribadirlo, perché sull'accezione i Quota 96 non ammettono fraintendimenti: mentre spesso il Governo Renzi parla di provvedimenti di pre-pensionamento e di flessibilizzazione dell'uscita, non si tiene conto che le condizioni create dall'errato conteggio sulla data di pensionamento nella scuola ha portato al mancato rispetto dei diritti già acquisiti.
Stiamo parlando pertanto di un post-pensionamento, l'esatto opposto del pre-pensionamento di cui sopra, che dovrebbe finalmente fornire una soluzione agli esodati della scuola, seppure con la possibilità di alcune penalizzazioni.
La terza svista è sui conteggi della platea dei destinatari
Ma se già questo potrebbe sembrare già abbastanza, bisogna ricordare l'ultimo atto della vicenda che stiamo raccontando.
Il riferimento è ovviamente al provvedimento sanatorio inserito recentemente nel decreto di Riforma della Pubblica Amministrazione, cancellato poco prima dell'approvazione. Motivo del dietrofront parlamentare? Ancora una volta dubbi sui conteggi! La platea dei destinatari sarebbe infatti molto più profonda di quanto non stimato inizialmente dal Governo, rispetto a quanto invece verificato dall'Inps.
Per il primo si tratterebbe di circa 4000 lavoratori, mentre l'istituto di previdenza ne conteggia fino a 9000. Fatto sta che mentre si continua a litigare sui conti, migliaia di persone devono restare forzosamente sul luogo del lavoro avendo già maturato il diritto al proprio pensionamento.