Per la serie BlastingTalks intervistiamo il responsabile acquisti di Altromercato, Simone Rocchi. Altromercato lavora da oltre 35 anni per la promozione e realizzazione di pratiche di economia solidale finalizzate a uno sviluppo sostenibile, in tutto il mondo.
Blasting Talks è una serie di interviste esclusive con business e opinion leader nazionali e internazionali per capire come la pandemia di coronavirus abbia accelerato il processo di digitalizzazione e come le aziende stiano rispondendo a questi cambiamenti epocali. Leggi le altre interviste della serie sul canale BlastingTalks.
In che modo funziona il vostro consorzio: cosa accade dietro le quinte delle vetrine di Altromercato che popolano le nostre città?
Altromercato è una struttura piuttosto complessa: è la principale realtà di commercio equo e solidale italiana e tra le più grandi al mondo. È un’impresa sociale formata da 91 Soci e più di 200 botteghe che gestisce da 35 anni rapporti con 140 gruppi di produttori in oltre 40 paesi, nel sud e nel nord del mondo. Il lavoro di oltre 450mila contadini e artigiani viene rispettato ed equamente retribuito, perché si basa su una filiera trasparente e tracciabile, che tutela i produttori, l’ambiente e garantisce la qualità dei prodotti.
Come operate a livello pratico?
Per raccontare come operiamo, partiamo dal cuore della nostra organizzazione e da chi lavora a stretto contatto con i nostri partner produttori: il rapporto diretto con i produttori viene gestito dall’Unità acquisti & cooperazione che è quella che effettua anche le visite presso i produttori e cura la relazione con loro.
L’attività di monitoraggio viene svolta invece dal Comitato etico che valida l’organizzazione di produttori in loco, cioè verifica che i criteri del commercio equo e solidale, stabiliti da WFTO (World Fair Trade Organization) vengano rispettati.
In che modo avete strutturato la vostra impresa sociale?
In diverse aree con altrettante competenze: sviluppo prodotto, marketing, qualità.
C’è poi l’area Retail & Hub che gestisce le relazioni con le botteghe socie, l’area commerciale Italia ed estero, l’amministrazione, finanza e controllo e l'area brand strategy che si occupa di tutta la comunicazione on e off line. Abbiamo infine un’area che si occupa della parte informatica e gestionale. Ed i nostri magazzini, dai quali partono i prodotti che i consumatori trovano sugli scaffali, che hanno sede in provincia di Verona, a Vallese di Oppeano.
In sintesi, qual è la vostra missione e quali obiettivi vi proponete di raggiungere come organizzazione?
Altromercato è un’impresa di commercio equo e solidale e la sua mission è quella di generare un modello differente di commercio. Un modello che garantisca una giusta remunerazione in origine e dove non vi sia spazio per marginalizzazione e sfruttamento. Il nostro obiettivo è mostrare che è possibile un modo diverso di fare commercio e far sì che questa diversità diventi una normalità per tutti.
Parliamo dei prodotti che vengono resi disponibili attraverso i vostri shop: cosa differenzia la filiera della produzione e distribuzione rispetto agli altri prodotti simili presenti in commercio?
Fin dalla nascita abbiamo sempre scelto di lavorare direttamente con i produttori in origine.
Tutti i prodotti che Altromercato commercializza hanno una filiera interamente presidiata e garantita alle loro spalle. Conosciamo tutti i passaggi che portano un chicco di caffè dal campo al prodotto che è possibile trovare in commercio. Reinvestiamo inoltre parte del guadagno derivante dalla vendita dei propri prodotti in progetti sociali in origine per migliorare le condizioni dei lavoratori. La maggior parte dei prodotti “simili” che è possibile trovare sul mercato hanno invece una filiera molto frammentata alle spalle e l’azienda che distribuisce il prodotto a proprio marchio non sa chi siano le cooperative in origine o se vi siano progetti sociali dietro.
Quali sfide avete dovuto affrontare con l’inflazione e i rincari delle materie prime derivanti dalla guerra in Ucraina e com’è cambiato il mercato nell’ultimo anno?
L’inflazione e i rincari che abbiamo visto in questi ultimi periodi hanno dimostrato la solidità del modello del commercio equo. Grazie a un forte legame con i suoi partner in origine e a un forte presidio delle proprie filiere siamo riusciti a garantire una costanza di acquisto dalle cooperative di produttori e a ricevere i prodotti da rivendere sul mercato. Molte aziende in Europa, non conoscendo l’origine dei propri prodotti e acquistando materie prime unicamente tramite trader, si sono viste vittime di grossi rincari e ritardi di fornitura senza avere strumenti per contrastare questi fenomeni.
Quali implicazioni individuate nei processi appena descritti?
In questo ultimo periodo emerge l’importanza di conoscere le proprie filiere di approvvigionamento e di valorizzare chi lavora in origine la materia prima.
Cose che prima venivano date per scontate, come la disponibilità di prodotto o la contrattazione a ribasso, hanno cominciato a essere viste nella loro reale complessità e questo sta generando maggior consapevolezza sull’importanza di difendere i diritti (di lavoratori e produttori ndr) all’origine per avere un mercato più sano. Solo un mercato giusto per tutti gli attori della filiera è sostenibile nel lungo termine e le grosse turbolenze che stiamo vivendo in questo periodo lo stanno dimostrando.
Un anno fa avete dato vita alla Fondazione Altromercato: con quali obiettivi? Che tipo di riscontri avete avuto ad oggi?
La volontà di riuscire a concretizzare sempre al massimo delle possibilità la mission di Altromercato, implica una costante capacità di modernizzazione della nostra struttura.
Un’evoluzione che deve necessariamente tenere conto delle richieste del mondo esterno. Ci siamo così accorti che, al fine di migliorare il lavoro di cooperazione e progettualità sociale in origine, era necessario creare una struttura dove concentrare il know-how che abbiamo costruito negli anni, intercettando così i fondi necessari alla realizzazione di diversi progetti sociali. Ad oggi, la Fondazione Altromercato è già stata in grado di co-finanziare la costruzione di un impianto per la trasformazione della panela (uno zucchero integrale biologico, ndr) di Copropap, storico partner di Altromercato in Ecuador. Attualmente stiamo anche sviluppando un progetto per il supporto delle cooperative di produttori di caffè in centro e Sud America.
Qual è a vostro parere la cognizione delle persone sulle istanze relative alle tematiche come l’ambiente, l’inclusività e la sostenibilità: pensate che il pubblico abbia raggiunto un livello di consapevolezza adeguato rispetto alle sfide contemporanee?
Ogni giorno riceviamo un chiaro segnale da parte dei consumatori: i temi etici e di sostenibilità ambientale, sociale ed economica sono in cima alle preoccupazioni delle persone. Il nostro compito è quello di mostrare che un modello giusto per rispondere a queste preoccupazioni già esiste e va solo diffuso e reso normale nel mercato.
Guardando al futuro, quali sono i temi più rilevanti per i prossimi anni e quali criticità occorrerà affrontare con maggiore urgenza?
Le difficoltà che le catene di approvvigionamento delle industrie agro-alimentari (ma non solo) stanno vivendo dimostrano la criticità di questo modello economico. Decenni di impari distribuzione del valore hanno generato una grossa fragilità insita nel sistema. In una situazione di crisi come quella attuale, dovuta sia agli effetti del cambiamento climatico che alla crisi economica post covid e della guerra in Ucraina, il modello attuale non ha sviluppato gli anticorpi per riuscire ad uscirne. Solo un nuovo orizzonte di filiera che leghi direttamente tutti gli attori coinvolti può generare un modello in grado di affrontare le enormi sfide che ci attendono.