Per la serie BlastingTalks intervistiamo Carlo Garbagnati, presidente di Associazione Incontri, e Roberta Trezzani, membro del direttivo e cuoca. La realtà, a Cantù, in provincia di Como, è da vent’anni un punto di riferimento per chi ha bisogno di un pasto caldo, di una doccia e di ascolto.
Blasting Talks è una serie d'interviste esclusive con business e opinion leader nazionali e internazionali per capire come la pandemia di coronavirus abbia accelerato il processo di digitalizzazione e come le aziende stiano rispondendo a questi cambiamenti epocali.
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Com’è nata l’idea alla base del vostro impegno sociale?
L’impegno è nato 20 anni fa da una realtà di persone che facevano volontariato alla mensa di Don Luigi Guanella a Como. Ci siamo accorti che serviva uno spazio simile anche a Cantù. Abbiamo iniziato offrendo un servizio di mensa per due giorni alla settimana, poi la richiesta è cresciuta tramite il passaparola. Con il tempo ci siamo sviluppati ulteriormente, anche grazie alle aziende e alle istituzioni locali. I soci oggi sono 160 e nel corso degli anni si sono avvicendati oltre 500 volontari.
Che cosa fate?
Nel tempo abbiamo consolidato la nostra attività offrendo la mensa tutte le sere dell’anno, anche considerando l’aumento progressivo dell’utenza.
Siamo arrivati a punte di 60 o 70 persone per sera prima del Covid. Offriamo un pasto caldo serale, ma cerchiamo anche di instaurare un dialogo con le persone che vengono a chiedere aiuto. Ovviamente per molti può fare la differenza anche solo mangiare in un posto caldo. Nel 2014 abbiamo aperto le docce, sistemando i vari locali che avevano a disposizione.
Oggi sono disponibili due volte alla settimana, mercoledì e sabato. Una volta alla settimana diamo un pacco con un cambio di biancheria intima. Abbiamo iniziato a distribuire dei pacchi alimentari giài prima del Covid, in collaborazione con i servizi sociali comunali e la Croce Rossa di Cantù. Abbiamo poi portato avanti questo servizio anche durante i mesi più duri della pandemia, e dopo.
Complessivamente, negli ultimi quattro anni abbiamo distribuito oltre 40mila pasti d’asporto e abbiamo offerto oltre 3mila docce. Questo in aggiunta ai pasti serali garantiti in sede, considerando che siamo aperti tutti i giorni dell’anno senza necessità di alcun tesseramento.
Chi sono le persone che si rivolgono a voi?
Nei primi anni il profilo delle persone era molto variegato, dall’anziano alla persona con problemi di dipendenza, ma ci sono anche molti stranieri senza lavoro o fissa dimora. Ma abbiamo avuto sempre più italiani che stranieri: oggi il 30% delle persone che ci chiede aiuto è straniera. Con il covid sono arrivate molte persone sole e rimaste un po’ ai margini della società. Oggi sono diminuiti i senza fissa dimora.
Quanti volontari impiegate e come organizzate le diverse attività di solidarietà?
Il totale dei volontari attivi oggi è intorno a 160, un numero che ci permette di non gravare con turni eccessivamente pressanti sulla vita privata di ognuno. In linea ogni volontario ha un turno ogni 15 giorni. Nella serata inizia prima il gruppo delle cuoche, che arriva alle 17 e termina alle 19. Quando si apre il servizio ci sono poi le persone che si occupano della distribuzione e della pulizia. Per le docce c’è un gruppo a parte costituito da volontari che gestiscono esclusivamente quel servizio. Poi c’è un gruppo che segue in modo specifico il magazzino, ovvero il recupero dei prodotti dai supermercati e la relativa logistica.
Come raccogliete il cibo che distribuite e i materiali che usateper le vostre attività di solidarietà?
L’approvvigionamento del cibo fresco in questo momento proviene principalmente da tre esponenti della grande distribuzione, ovvero Coop Lombardia, Iperal e Aldi, oltre alla International School of Como. In più abbiamo attività commerciali della zona che contribuiscono con generi vari, essendo le necessità molto variegate. Mentre per il secco (scatolame, pasta, riso) ci sono le raccolte provenienti da scuole e oratori che sono organizzate più volte all’anno. Anche i privati cittadini ci aiutano nella raccolta. In questo senso e considerate anche le particolari condizioni del momento, siamo sempre alla ricerca di nuovi contributori.
Vorremmo sensibilizzare su questo aspetto tutti i potenziali aderenti a queste iniziative, anche perché per le aziende sono previsti sgravi fiscali e altre agevolazioni.
Prima la crisi pandemica, ora gli effetti dovuti al caro energia e all’inflazione: in che modo questi elementi hanno impattato sulla solidarietà in generale?
L’impatto più rilevante è stato su bollette elettriche e gas. Per noi le bollette sono la prima voce di uscita. Le spese per luce e gas quest’anno sono salite di circa il 30%. L’inflazione ha probabilmente influito anche sulle forniture di materiali, visto che è diventato più complesso reperire ciò di cui abbiamo bisogno. Il fresco, per esempio, è diminuito tantissimo. Tutto ciò, ricordando che nulla va mai perso.
Anche quando abbiamo un esubero di alimenti, tutte le rimanenze vanno subito presso altre associazioni, perché siamo inseriti all’interno di una rete ben organizzata e nulla va mai sprecato.
Guardando al futuro, quali tendenze state rilevando rispetto alle richieste di assistenza e in che modo pensate di affrontare le sfide che stanno nascendo in questo periodo?
Ovviamente è molto complesso delineare quello che potrebbe accadere in futuro, anche perché i cambiamenti avvengono sempre più velocemente. Le crisi del passato, come la pandemia, ci hanno reso più resilienti e ci hanno aiutato a consolidare le collaborazioni tra associazioni e istituzioni del territorio. Ma ora la sfida sarà quella di riuscire a offrire sempre più sostegno e dare risposta alle crescenti richieste di aiuto.
Tutto ciò pensando anche alle logiche ambientali. Abbiamo per esempio in programma di eliminare l’usa e getta della plastica, sostituendo molti materiali con elementi eco compatibili. Perché anche in questi dettagli si ritrova il senso del mettersi a disposizione degli altri per migliorare il luogo in cui viviamo.
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