Durante l'estate, complice anche la riforma della Pubblica Amministrazione, molto si è ipotizzato riguardo alla possibilità di poter fruire della pensione con regole più "morbide" rispetto a quanto stabilito dalla Riforma Fornero; sono stati pubblicati numerosi articoli, alcuni allarmisti, con previsioni di netto peggioramento rispetto alla situazione attuale, altri più ottimisti, che prevedevano scappatoie e salvacondotti purtroppo rimasti inattuati ( come l'atteso pensionamento dei lavoratori cd. "quota 96" del comparto scuola). Appare corretto, in questo contesto, fare un po' di chiarezza, per quanto concerne possibilità e requisiti di collocamento a riposo.

Innanzitutto, dobbiamo tener presente che la riforma PA non ha introdotto alcuna nuova agevolazione per i dipendenti pubblici:per loro, resta lo svantaggio dell'età per la pensione di vecchiaia,fissata, per il 2014, in 66 anni e 3 mesi, contro i 63 anni e 9 mesi delle lavoratrici dipendenti del settore privato ed i 64 e 9 mesi delle autonome. La pensione anticipata, a prescindere dal settore, presenta il requisito di 42 anni e 6 mesi di contribuzione per gli uomini, e 41 e 6 mesi per le donne. L'unica differenza, tra pubblico e privato, introdotta dalla Riforma, è l'obbligatorietà del collocamento a riposo,una volta raggiunto, o il requisito per il trattamento anticipato(solo se superati i 62 anni d'età, per non far subire penalizzazioni al dipendente),o l'età per la pensione di vecchiaia: non è dunque possibile esercitare la facoltà del trattenimento in servizio sino ai 70 anni.

Per quanto concerne , invece, la tanto discussa Opzione Donna, cioè la possibilità , per le lavoratrici dipendenti, di pensionarsi a 57 anni più 3 mesi d'età, con 35 anni di contributi (58 e 3 mesi per le autonome), con il calcolo del trattamento, però, esclusivamente contributivo, la situazione è la seguente: nonostante, già da un anno fa, siano state dichiarate illegittime le circolari Inps 35 e 37, che restringono la possibilità di maturare i requisiti al 31.12.2014, anziché al 31.12.2015, di fatto distorcendo la normativa , allo stato attuale nessuna modifica è stata effettuata dall'Istituto.

Molti sono, comunque, i comitati spontanei che stanno sorgendo, per effettuare delle class action contro l'Inps , allo scopo di ottenere l'estensione dei termini per fruire dell'opzione.

A proposito di ricorsi nei confronti dell'Inps, è recentemente stata pubblicata una circolare interpretativa da parte della Fondazione Studi CDL (la 15/2014), in merito ai termini di decadenza per impugnare le liquidazioni errate di pensione, problema che, dalle stime ufficiali di Italia Lavoro, riguarda almeno il 30% dei conteggi.

Secondo il nuovo orientamento dottrinale, pur dovendo constatare che il DL 98/2011 abbia ristretto a 3 anni i termini per ricorrere, si riconosce che il termine valga in rapporto a ogni singolo rateo di pensione, in virtù della periodicità del trattamento, dunque del diritto. In un tale panorama, per molti versi eterogeneo e contraddittorio, il pensionando, o pensionato, ha comunque dei mezzi per tutelarsi: per non restare alla mercé dei calcoli Inps, difatti, è consigliabile rivolgersi ad un operatore specializzato, come un consulente del lavoro, per un confronto quanto più possibile preciso e realistico. Accertata una significativa divergenza, sarà opportuno effettuare immediatamente ricorso , direttamente giudiziale se in prossimità dei termini di decadenza.