Al di là dei confronti sulle leggi delega della riforma della 'Buona scuola', da qualche tempo sta rimbalzando sulla stampa specializzata la questione riguardante l'utilizzazione in classe dello smartphone da parte degli allievi. Un recente intervento di Davide Faraone ha sottolineato come si dovrebbe andare verso la cancellazione del divieto di utilizzazione emanato nel 2007 perché smartphone e tablet possono dare avvio a un nuovo modo di intendere la didattica: l'Italia sarebbe un paese arretrato in un duplice senso, dal punto di vista della digitalizzazione e dell'informatizzazione e dal punto di vista della didattica innovativa.
Nello stesso periodo in cui Davide Faraone lanciava la sua proposta, usciva uno studiodella London School of Economics, che fotografava, invece, quali potessero essere le ricadute negative nell'utilizzazione di questi dispositivi nei processi cognitivi degli allievi. Su Orizzonte Scuola, è stata pubblicata un'intervista a Domizio Baldini, docente e formatore sulle TIC, che sottolinea come l'utilizzazione dello smartphone in classe potrebbe rappresentare una rivoluzione didattica e cognitiva di cui non bisogna avere paura.
Una rivoluzione didattica grazie allo smartphone in classe?
L'idea di fondo che guida l'intervento di Baldini sulla questione dell'utilizzazione dello smartphone in classe è che è necessario per la scuola e i docenti italiani aprirsi a nuove forme di costruzione della mediazione didattica.
Gli studenti, infatti, hanno differenti canali di comunicazione e le intelligenze, come ha dimostrato Gardner, sono multiple e per riuscire a coltivare le specificità di ogni allievo l'utilizzazione dello smartphone può essere decisiva. Si dovrebbe porre fine a una didattica puramente trasmissiva in cui il docente rappresenta la fonte del sapere e l'allievo colui che lo deve assimilare e apprendere: smartphone e tablet permetterebbero agli studenti di divenire non soltanto destinatari di una conoscenza ma anche loro stessi produttori di nuovi saperi.
La classe dovrebbe diventare un luogo dove il sapere non si trasmette ma si costruisce e il docente dovrebbe essere una sorta di tutor che accompagna i discenti nel difficile percorso della costruzione delle conoscenze. Riguardo alla questione degli allievi che ne potrebbero fare un uso distorto, come ad esempio rispondere a messaggi o in generale giocherellarci per distrazione, secondo Baldini la colpa sarebbe comunque del docente che non riesce a coinvolgere la platea e a trasformare quello che è il mondo del discente in un'opportunità formativa. Per aggiornamenti, cliccate su 'Segui' in alto sopra l'articolo.