Arriva la prima sentenza di licenziamento contro l'abuso della legge 104/1992 nella Scuola, dopo gli avvertimenti del ministero dell'Istruzione, Stefania Giannini e, soprattutto, del sottosegretario Davide Faraone. A pochi mesi dalla pubblicazione degli unici dati ufficiali relativi ai permessi della legge 104 e a quelli della legge 151 del 2001 sull'utilizzo da parte dei docenti e del personale amministrativo, ausiliario e tecnico della scuola, i giudici della Corte di Cassazione hanno usato il pugno duro contro un collaboratore scolastico di Grosseto con l'avvenuto licenziamento.

Abuso legge 104 nella scuola, la sentenza di licenziamento di un Ata

Nello specifico, il dipendente della scuola utilizzava i permessi disciplinati dall'articolo 33 della legge 104 del 1992 per la frequenza ad un corso di laurea universitario in una città peraltro differente rispetto a quella indicata nella concessione dei permessi per l'assistenza della madre bisognosa. In totale, i giudici hanno accertato che le ore di permesso utilizzate dal dipendente per motivazioni diverse da quelle dell'assistenza di un parente sono state trentotto e mezzo.

Nelle motivazioni della sentenza numero 17968 del 2016 i giudici hanno sostenuto che il beneficio dei permessi per ragioni diverse costituisce un danno per l'amministrazione della scuola quantificabile nella retribuzione di quanto indebitamente guadagnato, oltre al pagamento degli interessi legali e delle spese del procedimento. 

Furbetti legge 104 nella scuola, i numeri più allarmanti

La situazione dei permessi della legge 104/1992 e 151/2001 è costantemente tenuta sotto controllo dal ministero dell'Istruzione, in collaborazione con l'Inps. Infatti, il monitoraggio effettuato a cura del Miur qualche mese fa per il comparto scuola, aveva messo in evidenza una media troppo alta (13 per cento rispetto al 10% della media della Pubblica amministrazione ed al 3% del settore privato) dei docenti e dei dipendenti Ata.

Questi ultimi avevano avuto perfino punte del 26 per cento in Umbria e del 24 per cento nel Lazio. Cifre allarmanti, invece, in Sardegna (18 per cento), nel Lazio (16%) e in Friuli (14%) per quanto concerne gli insegnanti.