Il pacchetto previdenziale inserito nella Legge di Bilancio che sta per essere approvata in Senato immetterà nel sistema previdenziale l’APE. Si tratta dell’ormai famosa misura che consente l’anticipo di pensione a partire dai 63 anni. La misura è una pensione erogata prima di raggiungere i 66 anni e 7 mesi necessari per la pensione di vecchiaia, ma sotto forma di prestito bancario. Il neo pensionato, colui che sceglierà l’APE, otterrà un finanziamento da una banca, la sua pensione futura sarà usata come garanzia e sarà obbligato a restituire quanto percepito in anticipo con trattenute mensili al termine dell’anticipo.

Un debito ventennale, da restituire a partire dai 66,7 anni di età e fino agli 86,7, quasi vita natural durante. Naturalmente, le banche non lavorano gratis, pertanto nelle rate andranno restituiti la pensione percepita, gli interessi e le spese assicurative. Un vero e proprio mutuo, a meno che non si rientri nelle versioni agevolate di APE, quelle che somigliano tanto ad uno strumento assistenziale. Il problema è che rientrare in queste forme di anticipo pensionistico appare complicato per via dei requisiti e del vincoli alquanto stringenti.

Per chi è l’APE social

I requisiti di accesso all’APE nella versione volontaria sono i 63 anni di età anagrafica e 20 di contributi cioè quelli che poi danno diritto alla vera pensione di vecchiaia.

La versione sociale o agevolata di APE invece ha requisiti diversi. Va ricordato che parliamo di quella forma di anticipo pensionistico per il quale sarà lo Stato a farsi carico di rimborsare le banche, con il pensionato che non subirà trattenute sulla pensione futura. L’APE sociale verrà concessa, a partire dal prossimo 1° maggio, ai disoccupati, agli invalidi o con invalidi a carico ed a lavoratori impegnati in attività gravose.

Come dicevamo, cambiano i requisiti necessari, ad esclusione di quello anagrafico dei 63 anni. Per la versione assistenziale, quella per disoccupati o alle prese con problemi di salute, sono necessari 30 anni di contributi. Per le attività gravose, cioè le 11 nuove categorie che il Governo ha reputato di inserire tra queste, necessari 36 anni di lavoro alle spalle.

L’innalzarsi dei requisiti è solo il primo di una serie di paletti che rendono la misura agevolata difficile da centrare per i lavoratori.

Tutti i paletti previsti

Quasi a voler rendere più ristretto possibile il campo dei beneficiari, l’APE nella versione a carico dello Stato prevede una serie di paletti stringenti. Vincoli che, nonostante gli emendamenti depositati e valutati la scorsa settimana dalla Commissione Bilancio, non sono stati tolti. Per i disoccupati, per esempio, sarà necessario avere terminato di percepire, almeno da 3 mesi e per intero, gli ammortizzatori sociali da loro sfruttati, quindi mobilità, Naspi e così via. Per gli invalidi è necessario avere a che fare con un grado di disabilità di almeno il 74%.

Per i lavori gravosi invece i paletti sono di natura lavorativa proprio in virtù del fatto che il fattore importante per rientrare nell’agevolazione è la tipologia di attività svolta durante la vita lavorativa. Le categorie agevolabili sono le maestre di asilo, gli autisti di mezzi pesanti, i macchinisti dei treni, gli infermieri e le ostetriche con lavoro in turni, i facchini, gli edili, i gruisti, i conciatori di pelli, addetti ai rifiuti, personale addetto ai servizi di pulizia e all’assistenza dei soggetti non autosufficienti. Il limite per questi è quello dei contributi versati che come dicevamo devono essere 36. Inoltre gli ultimi 6 anni prima della domanda di accesso all’APE devono essere stati svolti continuativamente in quelle attività.

Cosa significa tutto ciò? Un edile, la cui attività di norma è saltuaria, basata sul clima e sulle stagioni, difficilmente potrà garantire il requisiti della continuità negli ultimi 6 anni. Una anomalia che si collega anche a quelle relative alla incompatibilità con gli ammortizzatori sociali o con redditi superiori ad 8.000 euro.