La Legge di Bilancio è in vigore dal 1° gennaio, ed il suo pacchetto previdenziale ha prodotto alcune novità per chi desidera andare in pensione nel 2017. L’APE è la novità più rilevante della riforma, ma anche l’estensione dell'opzione donna non è da meno. Le nate tra il 1952 ed il 1955 sono chiamate a scegliere tra le due vie offerte dalla legge, anche se in entrambi i casi è necessario comprendere cosa si perde per quanto concerne l'assegno pensionistico.

Opzione donna

La nuova Legge di Bilancio ha introdotto un'estensione della misura di anticipo per le lavoratrici, rispetto a quanto previsto dalla sperimentazione di opzione donna per il 2016.

Nel 2017 potranno lasciare il lavoro a 57 anni e 7 mesi di età, le donne che hanno raggiunto la soglia minima di età entro lo scorso 31 luglio. Dal punto di vista dei contributi, ne servono almeno 35, raggiunti entro la fine del 2015. La condizione da accettare, in questo caso, è il calcolo contributivo della propria pensione che, in termini pratici, significa perdere anche il 30% dell'assegno che si sarebbe dovuto percepire. In definitiva, possiamo dire che solo a coloro che sono nell’impossibilità familiare, fisica o personale per continuare a lavorare, conviene accettare questa via d'uscita, che prevede un pesante sacrificio per qualche anno di anticipo di pensione.

Con l’APE va meglio?

Dal punto di vista dell’età anagrafica non c’è partita, con opzione donna che parte dai 57 anni e 7 mesi, e l’APE dai 63.

Per qualche lavoratrice, però, c'è la possibilità di scelta. Prendiamo, ad esempio, le dipendenti nate tra il 1952 ed il 1955, che hanno raggiunto i requisiti contributivi per opzione donna e che dal 2017 possono scegliere anche l’APE. Nella versione sociale dell'anticipo pensionistico, conviene senza ombra di dubbio optare per l'APE.

Tuttavia è bene ricordare che bisogna essere disoccupate e che da almeno 3 mesi non si devono percepire più gli ammortizzatori legati ad invalidi, o con invalidi a carico a partire dal 74%.

Coperti anche i lavori gravosi, che vedono impiegate diverse rappresentanti del mondo femminile, come le maestre di asilo, le donne addette alle pulizie e le infermiere delle sale operatorie.

Nella versione volontaria dell'APE, invece, c’è da fare bene i conti, perché la pensione è erogata tramite un prestito bancario da restituire quando si arriverà a 66 anni e 7 mesi che, in base alla riforma Fornero, rappresenta la soglia per percepire la pensione di vecchiaia.

Tagli e penalità tra contributivo e retributivo

Occorre ribadire che le donne che già si sono viste liquidare la pensione con opzione donna, non possono più tornare indietro. Coloro che, invece, hanno già presentato domanda, ma non hanno ancora ottenuto risposta di accoglimento dall’INPS, possono annullare la relativa richiesta. Le donne che intendono scegliere l’APE volontaria, devono rammentare che questa costa circa il 20% di assegno futuro, cioè quasi il 5% di taglio per anno di anticipo.

Inoltre se l'opzione donna è una vera e propria pensione, l’APE risulta un sussidio ponte fino all'età del pensionamento. Infatti non ha tredicesima, non è reversibile, e non è soggetta ad Irpef. Il calcolo da effettuare deve partire dai contributi versati prima del 31 dicembre 1995, quando si ricadeva nel sistema retributivo e misto. Quest'ultimo prevedeva che la prima parte della pensione (definita quota A) fosse calcolata in base agli ultimi 5 anni di stipendio (10 per gli autonomi e l’ultimo anno per gli statali). Maggiori sono i contributi versati prima del sistema contributivo, maggiore penalizzazione si ottiene con opzione donna. Ecco perché è necessario valutare bene quale delle due vie conviene scegliere, prima di presentare richiesta di pensione.