L'Istat presenta oggi i risultati di un approfondimento tematico nell'ambito della Rilevazione sulle forze di lavoro relativo ai percorsi formativi e di inserimento lavorativo dei giovani tra i 15 e i 34 anni, cioè del 21% della popolazione residente in Italia. Quello che ne emerge è che sono circa 3,2 milioni i ragazzi minori di 35 anni che non studiano né lavorano, estendendo così la categoria dei cosiddetti "Neet" (acronimo inglese per "not (engaged) in education, employment or training), generalmente riferita alla fascia d'età 15-29 anni, ai minori di 35 anni.

Maggiori problemi al Sud Italia, meglio il Centro-Nord.

I giovani nel mercato del lavoro

I dati raccolti, che fanno riferimento al secondo trimestre del 2016, riferiscono che il tasso occupazionale dei 15-34enni è stato pari al 40,6%. Questo valore paga però il fatto che una larga fetta di questa percentuale di giovani è ancora inserita all'interno di percorsi formativi, e perciò poco o per nulla interessata ad entrare nel mondo del lavoro. I diplomati e i laureati che dichiarano di aver svolto almeno un'esperienza di lavoro durante il percorso di studio sono rispettivamente il 40% e il 60%, ma la maggior parte di queste esperienze sono state stage, tirocini e corsi di formazione all'interno del sistema di istruzione stesso.

Sono invece circa il 63,2% i giovani usciti dal sistema d'istruzione formale: per loro il tasso di occupazione è al 60% e cresce all’aumentare del livello di istruzione. Il maggior livello d'istruzione spetta alle donne, ai residenti al Centro-Nord e a coloro che provengono da famiglie con più elevati titoli di studio.

Sotto il profilo territoriale allarma il divario che separa la percentuale di giovani che entrano nel mercato del lavoro al Sud e nel resto del Paese: infatti mentre al Centro e al Nord Italia il tasso di occupazione si attesta rispettivamente al 65,5 e al 73,2%, nel Mezzogiorno ha un lavoro il 42,7% dei giovani usciti dal sistema di istruzione, sottolineando le condizioni di difficoltà e disagio nell'inserimento occupazionale.

Tra gli stranieri, i giovani che hanno terminato gli studi e lavorano sono circa il 56,6% (inferiore alla percentuale degli italiani).

Le statistiche

Tra i giovani disoccupati, soprattutto tra i laureati, 4 su 10 si dichiarano disponibili a trasferirsi per lavoro, anche all'estero. La "fuga di cervelli", fenomeno ormai noto e allarmante nel nostro Paese, si riscontra soprattutto nei giovani provenienti da ambienti familiari culturalmente più elevati.

Sempre tra i laureati crescono le possibilità di trovare lavori tramite altri canali, compresa la segnalazione da parte di amici e parenti, mentre meno del 12% dei giovani, negli ultimi 12 mesi dello studio, ha ricevuto un aiuto nella ricerca occupazionale da parte di un'istituzione pubblica. Sintomo questo, che denuncia la diffidenza nell'affidarsi allo Stato per trovare un lavoro, preferendo piuttosto contare sulle proprie capacità di selezione e sull'aiuto di conoscenti.

Preoccupa il fatto che circa un terzo dei laureati si dichiarino consapevoli del fatto che per svolgere adeguatamente il proprio lavoro sarebbe sufficiente un più basso livello di istruzione rispetto a quello posseduto, soprattutto perché gli occupati in lavori atipici (rispetto al titolo di studio) sono più della metà dei laureati e quasi il 65% dei diplomati.

Molti dei giovani usciti dal sistema di istruzione obbligatorio ha iniziato un altro corso di studi, poi interrotto, proprio a testimonianza della progressiva disillusione nei giovani, che preferiscono magari cercare un lavoro temporaneo e sottopagato piuttosto che "perdere tempo" a continuare a studiare per poi non vedersi riconosciuti i propri meriti.

I dati riportati testimoniano una situazione ancora allarmante anche se in continuo mutamento per quanto riguarda l'occupazione giovanile, non tanto per la percentuale degli occupati, quanto per la qualità del lavoro e le prospettive future dei giovani. Il divario territoriale, il crescente numero di giovani che preferisce trasferirsi all'estero per lavorare, l'alto tasso dei giovani che si accontenta di un'occupazione temporanea e precaria, sono sintomi di un malessere generale dello stato italiano, che da anni annaspa alla ricerca di soluzioni alla disoccupazione, soprattutto giovanile.