In materia previdenziale siamo ancora alla fase iniziale di quella che potrebbe davvero essere una vera riforma. Un'operazione, quella che mira ad introdurre quota 100, quota 41 ed a rilanciare opzione donna, che richiede un grande lavoro da parte dell’Esecutivo, soprattutto per quanto concerne la ricerca delle coperture finanziarie. Opzione donna sembra la misura più fattibile da attuare dal punto di vista delle coperture in quanto appare come la più economica per lo Stato. La misura infatti fu inserita già nelle manovre finanziarie del 2016 e del 2017 e la spesa sostenuta per quel biennio di sperimentazione fu di circa 118 milioni di euro.

Una cifra non elevatissima a fronte di una platea di beneficiarie che ha sfiorato le 28 mila unità. Quota 100 e quota 41, invece, necessitano di una spesa più ingente che oggi non appare sostenibile da parte del sistema. Ecco perché, stando ipotesi che circolano, sembra siano in programma tagli di assegni, paletti e vincoli che renderanno le misure meno costose per lo Stato.

Anticipo donne

Il riavvio di opzione donna o la sua proroga permetterebbe alle lavoratrici con una età tra i 57 ed i 58 anni di lasciare il lavoro subito con 35 anni di contributi. Le lavoratrici però, dovranno accettare di farsi calcolare l’assegno previdenziale interamente con il sistema contributivo. Una scelta non gratuita e quindi dolorosa, perché il calcolo interamente contributivo della pensione significa accettare un taglio della pensione molto importante.

Tra ricalcolo contributivo e meno anni di lavoro e contributi versati, l'assegno percepito potrebbe arrivare a ridursi di oltre il 35%. Un taglio di assegno che rende la misura in gran parte autofinanziata, almeno nel medio-lungo periodo.

Quota 100 e quota 41

Per quanto concerne le voci che parlano di penalizzazioni per i lavoratori, sia con quota 100 che con quota 41, effettivamente le due misure permetterebbero di lasciare il lavoro con largo anticipo ma solo a fronte di un taglio di pensione.

Non potrebbe essere altrimenti in quanto, lasciando il lavoro prima, si versano meno contributi e quindi si matura una pensione più bassa. Il nostro sistema previdenziale, infatti, è basato sul calcolo della pensione in base ai contributi versati (sistema contributivo) e comporta la riduzione degli assegni previdenziali per ogni anno di anticipo.

La penalizzazione di assegno, in effetti, sarà anche di 300 euro per quanti riusciranno a sfruttare l’anticipo massimo che le misure concederanno. In pratica, prima si esce dal lavoro, meno si percepisce di pensione. Se davvero entrasse in scena quota 41 per esempio, un lavoratore che avrebbe dovuto versare fino a 43 anni e 3 mesi per la pensione anticipata a partire dal 2019, potrebbe lasciare il lavoro con “solo” 41 anni di lavoro. Sono 2 anni e 3 mesi di anticipo che significano 2 anni e 3 mesi di contributi in meno versati. Lo stesso ragionamento si può fare con quota 100 e con la pensione a 64 anni invece che a 67 come si dovrà arrivare nel 2019 per la pensione di vecchiaia.

Le discriminazioni

Se dal punto di vista degli importi di pensione appare chiaro che nasce una specie di “baratto” tra soldi e anni di pensione anticipata, la ricerca delle coperture qualche strascico lo lascerà. Se le indiscrezioni verranno confermate, la quota 100 nascerà con una età minima di 64 anni da raggiungere per l’accesso. Serviranno quindi 36 anni di contributi versati (o 35 e 34 per chi ha 65 o 66 anni di età), così come per la nuova pensione anticipata ne serviranno 41. Proprio sui versamenti di contributi necessari si manifestano le problematiche più grandi. Per ridurre la platea di beneficiari delle due misure e quindi per ridurre l’aumento di spesa pubblica conseguente al lancio delle due misure, si dovrebbero poter utilizzare solo due anni di contributi figurativi.

Ad esclusione di maternità e servizio militare che sarebbero utili sempre, malattie, disoccupazioni e casse integrazioni avute nella vita lavorativa sarebbero valide fino a 24 mesi. Un danno evidente per chi ha avuto carriere discontinue per difficoltà a trovare lavoro stabile o per la tipologia stessa del suo lavoro. Basti pensare a stagionali ed edili, oppure agli agricoli che spesso sono costretti a utilizzare gli ammortizzatori sociali per coprire la parte di anno solare in cui sono fermi perché trattasi di attività legate al clima ed alla stagionalità.