Da qualche giorno sulla stampa e sui più diffusi media fa discutere la conferma dei tagli sulle Pensioni in arrivo ad aprile. La legge di Bilancio del governo giallo-verde è stata approvata solo il 30 dicembre 2018 e questo non ha permesso all’Inps di rivalutare le pensioni in pagamento da gennaio 2019, adeguandole alle nuove norme della manovra. La cosiddetta perequazione, cioè l’adeguamento delle pensioni all’aumento del costo della vita che per l’Istat è pari all’1,1% esce modificata come meccanismo dalla legge di Bilancio del governo. L’Inps da gennaio ha adeguato le pensioni con le norme vecchie, sottolineando però, con tanto di circolare, che si trattava di adeguamenti provvisori, in attesa di recepire i diktat provenienti dalla manovra.

Come previsto quindi, da aprile verranno erogate pensioni con importi differenti rispetto a quelli pagati da gennaio a marzo 2019. La novità non produce effetti negativi per le pensioni fino a tre volte il minimo, ma per quelle superiori l’assegno crescerà in misura inferiore rispetto alla vecchia normativa con l’effetto di mettere molti pensionati a debito nei confronti dell’Inps per parte di quanto incassato nel primo trimestre del corrente anno.

Una normativa in costante evoluzione

Il nuovo sistema di perequazione varato in manovra dal nostro esecutivo sarà attivo per il triennio 2019-2021, per poi tornare al vecchio meccanismo salvo nuovi interventi legislativi. La perequazione negli anni è stata oggetto di diverse variazioni normative.

In ordine cronologico il meccanismo di adeguamento degli assegni pensionistici al tasso di inflazione è stato approntato dalla legge 388 del 2000, poi dalla legge 147 del 2013 ed infine dalla nuova legge di Bilancio cioè la 145 del 2018. La piena rivalutazione degli assegni in tutti questi meccanismi viene concessa solo sulle pensioni fino a 3 volte il minimo, cioè fino a circa 1.522 euro lordi al mese.

Per queste prestazioni previdenziali nulla cambia perché anche ad aprile si incasserà la stessa pensione percepita da gennaio, con gli adeguamenti al caro vita confermati nella misura pari all’1,1%.

Discorso diverso per le pensioni più elevate che nel nuovo meccanismo vengono rivalutate su sette scaglioni mentre nel precedente sistema (quello adottato a gennaio dall’Inps), su tre fasce.

I pensionati per questa novità, quando andranno alla cassa ad aprile troveranno soldi in meno sulla pensione, con un ammanco che va da pochi centesimi a quasi 45 euro in meno al mese. La differenza tra l’assegno incassato a gennaio, febbraio e marzo e quello che si incasserà a partire da aprile va restituito all’Inps. Non è ancora chiaro come e da quando si dovrà restituire quanto incassato in più, ma probabilmente da maggio inizieranno trattenute di assegno relative a questo conguaglio, come chiaramente riportato dall’Inps nelle comunicazioni di addebito che stanno arrivando in queste ore a casa dei pensionati.

Le tabelle

Ricapitolando, l’Inps da gennaio ha adeguato le pensioni al tasso di inflazione in base alla normativa transitoria vigente fino alla fine del 2018.

La provvisorietà di questo adeguamento da aprile cesserà di esistere perché l’Inps interverrà a correzione recependo la nuova normativa imposta dalla manovra finanziaria. Il vecchio meccanismo basato sul più favorevole sistema delle fasce progressive era così composto:

  • Pensioni fino a 3 volte il minimo: aumento dell’1,1%;
  • Pensioni sopra 3 e fino a 5 volte il minimo: aumento dell’1,1% fino a 1.522 euro e 0,99% per la parte fino a 2.537 euro;
  • Pensioni più elevate: aumento dell’1,1% fino a 1.522 euro, dello 0,90% fino a 2.537 euro e dello 0,75% per la parte ancora eccedente.

Il nuovo sistema prevede 7 fasce ed è più penalizzante anche perché l’aliquota si applica sulla fascia totale di reddito e non in misura progressiva come il precedente.

Le nuove fasce, oltre naturalmente alla prima, dove come dicevamo niente cambia, sono:

  • Pensioni tra 3 e 4 volte il minimo rivalutazione dello 0,97%;
  • Tra 4 e 5 volte il minimo adeguamento dello 0,77%;
  • Tra 5 e 6 volte il minimo adeguamento dello 0,52%;
  • Tra 6 e 7 volte il minimo aumento dello 0,47%;
  • Tra 7 e 8 volte il minimo aumento dello 0,45%;
  • Per quelle ancora più alte rivalutazione dello 0,40%.

Confrontando vecchia e nuova normativa si può benissimo stabilire per ogni fascia la perdita in termini di assegno, cioè i soldi che mancheranno nelle pensioni di aprile e che andranno restituiti perché incassati in più da gennaio a marzo. Una pensione di importo pari a 1.500 euro tondi al 31 dicembre 2018, sale a 1.516,50 euro al mese sia con la vecchia che con la nuova normativa.

Per una pensione di 1.800 euro, a gennaio si era passati a 1.819,49 mentre da aprile si scende a 1.819,21, cioè 28 centesimi in meno e 84 centesimi di debito maturato tra gennaio e marzo. Come si vede, un danno irrisorio ma che va a salire e di molto per le pensioni più elevate. Già su una pensione lorda da 2.300 euro al 31 dicembre 2018, il cambio di sistema produce quasi 5 euro di pensione in meno al mese e 15 euro di debito maturato. Infatti a gennaio questa pensione era salita a 2.324 euro mentre ad aprile scenderà a 2.319 euro circa. Su una pensione lorda di 2.800 euro l’ammanco è di circa 13 euro e si arriva a quasi 45 euro per le pensioni lorde da 10.000 euro al mese per poi salire sempre di più man mano che sale l'importo della pensione percepita fino a centinaia di euro per chi percepisce super pensioni.