Nelle pieghe della proposta di riforma del settore previdenziale emerge anche una nuova ipotesi d'intervento sulla Quota 100, al fine di trasformarla in una Quota 92. La proposta non appare del tutto nuova, visto che proviene da un disegno di legge depositato lo scorso gennaio in Senato a firma del senatore democratico Tommaso Nannicini. Il meccanismo prevedere di consentire l'accesso anticipato alla pensione potenziando quanto già previsto per l'APE sociale, un'opzione che attualmente consente la quiescenza a carico dello Stato a partire dai 63 anni di età e con 30-36 anni di versamenti (in base alla specifica situazione di disagio vissuta dal lavoratore).
Pensioni anticipate: l'idea di una nuova Quota 92
Con le ipotesi tornate a circolare nelle ultime ore si è quindi tornati a parlare della possibilità di un'APE social rafforzata, in grado di consentire ancora maggiore flessibilità rispetto alla Quota 100. Quest'ultima prevede infatti la maturazione di almeno 62 anni di età e di 38 anni di versamenti. Attraverso la nuova Quota 92 si potrebbero invece aprire le porte della pensione a partire dai 62 anni di età ma con soli 30 anni di contributi, pertanto lo "sconto" sul requisito contributivo corrisponderebbe a ben 8 anni. Ovviamente in questo caso la possibilità di far valere l'opzione sarebbe consentita a chi vive specifiche situazioni di disagio.
Rientrerebbero infatti i lavoratori disoccupati, i caregiver, gli invalidi e coloro che hanno svolto i lavori pesanti o usuranti riconosciuti dalla legge.
L'ipotesi utile per evitare lo scalone della Quota 100
Una simile ipotesi sarebbe utile non solo per allargare le maglie della flessibilità previdenziale, ma anche per evitare che nel 2022 i lavoratori che vivono situazioni di disagio si trovino a confrontarsi con uno scalone di cinque anni. L'APE sociale risulta infatti in scadenza entro la fine dell'anno corrente, mentre la sperimentazione della Quota 100 si concluderà entro il 31 dicembre del 2021. Nel caso in cui non si introducessero proroghe o nuovi meccanismi di flessibilità previdenziale all'interno del nostro ordinamento, a partire dall'anno successivo resterebbero in essere solo i profili di quiescenza previsti con la legge Fornero.
Con un aggravio che per molti lavoratori esclusi dalle precedenti opzioni di tutela potrebbe tradursi nella necessità di restare fino a 5 anni in più sul proprio posto di lavoro. Resta il fatto che sulla questione la vera quadra da trovare non è solo quella dei parametri di accesso all'Inps, ma anche nel relativo impatto sui conti pubblici. Un problema che certamente condizionerà inevitabilmente le decisioni riguardanti la nuova manovra.