La Suprema Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 37247 del 20 dicembre 2022 in materia giuslavoristica, ha affrontato il tema della responsabilità del datore per i danni patiti dal prestatore in occasione di un infortunio sul lavoro.

Secondo i giudici di legittimità, il datore di lavoro, relativamente alle fattispecie anteriori all'ambito temporale di applicazione dell'art. 13 del d.lgs. n. 38/2000, risponde dell'intero danno non patrimoniale, poiché non possono essere decurtati gli importi percepiti a titolo di rendita INAIL, corrispondenti, nel regime vigente in precedenza, esclusivamente al danno patrimoniale.

I fatti di causa

Il Tribunale aveva dichiarato la responsabilità di Giorgio (tutti i nomi sono di fantasia, ndr) e della società Alfa nella determinazione dell'infortunio sul lavoro avvenuto nel 1995, nel corso del quale Sandro, dipendente della società Beta, aveva subito lesioni personali. Il Tribunale aveva quindi condannato Giorgio, la società Alfa e i soci di quest'ultima al pagamento, in solido fra di loro, della somma di 349.969,20 euro a titolo di risarcimento del danno, rigettando la domanda proposta dal dipendente nei confronti della società Beta, ritenuta esente da responsabilità in relazione all'incidente.

I giudici avevano accolto parzialmente l'appello proposto da Sandro, Giorgio e la società Alfa e, per l'effetto, condannavano la società Beta e Giorgio al pagamento, in solido fra loro, in favore di Sandro della somma di 154.993,12 euro oltre accessori, dichiarando la nullità del capo della sentenza di primo grado inerente alla condanna della società Alfa e dei soci illimitatamente responsabili; altresì, la Corte distrettuale aveva dichiarato la concorrente responsabilità in misura paritaria della società Beta, di Giorgio e della società Alfa nella determinazione del sinistro occorso a Sandro e quindi aveva dichiarato la società Alfa tenuta a tenere indenne la società Beta nella misura di un terzo.

I motivi del ricorso in Cassazione

A questo punto, Sandro ha fatto ricorso fino alla Corte di Cassazione, lamentando, in particolare, la violazione di legge, l'erronea applicazione dell'art. 10 DPR n. 1124/1965, il vizio di motivazione, ex art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., relativamente all'omessa compensazione per poste omogenee, in relazione al regime vigente ante 2000, posto che la rendita INAIL concerneva solamente il danno alla capacità lavorativa generica mentre la Corte territoriale la aveva riferita all'intero pregiudizio complessivamente quantificato comprensivo, vale a dire sia del danno patrimoniale che di quello non patrimoniale.

La pronuncia della Suprema Corte

La Cassazione, nel ritenere fondata la censura, afferma che: "In tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro risponde dei danni occorsi al lavoratore infortunato nei limiti del cd. danno differenziale che non comprende le componenti del danno biologico coperte dall'assicurazione obbligatoria, sicché, per le fattispecie anteriori all'ambito temporale di applicazione dell'art.

13 del d.lgs. n. 38 del 2000, il datore risponde dell'intero danno non patrimoniale, non potendo essere decurtati gli importi percepiti a titolo di rendita INAIL, corrispondenti, nel regime allora vigente, solo al danno patrimoniale legato al pregiudizio alla capacità lavorativa generica".

Nella vicenda posta al vaglio dei giudici Ermellini, a fronte di un infortunio verificatosi nel 1995, i giudici d'appello, dopo avere sommato al danno patrimoniale subito da Sandro, quello non patrimoniale, hanno decurtato dall'intero totale ottenuto l'indennizzo INAIL, violando in tal modo il suddetto principio di legittimità.