La parabola politica alla quale abbiamo assistito in questi giorni è nota: Oscar Giannino, candidato premier per Fare per fermare il declino, dopo lo scandalo sollevato dall'economista e co-fondatore del movimento Luigi Zingares che lo accusava di aver mentito riguardo alle sue credenziali accademiche, pubblica una lettera aperta in cui ammette la circostanza e si assume la piena responsabilità degli errori commessi. Da qui la convocazione immediata dell'organo di direzione e le dimissioni irrevocabili dalla carica della presidenza con la nomina di Silvia Enrico quale coordinatrice nazionale.
La deflagrazione della credibilità personale di Giannino viene vissuta dal protagonista in un modo del tutto inconsueto rispetto agli standard a cui la politica ci aveva abituato: intervistato ieri sera alle "Invasioni Barbariche" da un'ottima Daria Bignardi, all'ammissione pubblica di responsabilità, già difficile nella sua posizione, aggiunge una misura umana insolita.
Incalzato da domande garbate ma precise, Oscar Giannino racconta la propria vanità, la mitomania di un dadaista autodidatta, delle lauree millantate e dello Zecchino d'Oro rifiutato, la prima esperienza in politica e la grande delusione, con imbarazzo lieve e consapevole, senza orgoglio, senza spocchia.
Non nasconde le origini da una famiglia modesta, senza darne una lettura patetica, né il goliardico senso di rivalsa alle conferenze, senza cercare complicità; rivendica soltanto nel finale il confronto pubblico per il quale in venti anni di articoli e dibattiti il merito delle sue argomentazioni è stato riconosciuto ed apprezzato.
Il senso della misura con il quale si presenta in TV spiazza il giudizio, per un uomo che ha fatto dell'anticonformismo il proprio marchio distintivo: mai patetico, mai rabbioso, accetta la propria debolezza e le conseguenze che questa comporta. Una tridimensionalità ritrovata, che contrasta con i vestiti sgargianti, con quell'aria teatrante e barocca che accompagna da sempre la figura di Giannino.
Appassionato solo quando si riferisce ai "suoi" ed al coraggio di continuare a lottare per il progetto politico, per se lascia soltanto un sorriso amaro, una compassione affettuosa e disillusa, alla quale si è costretti a credere, una dimensione umana nella quale, anche senza volerlo, ci si trova a riconoscersi.