Molti che hanno vissuto con un cane o un gatto ricordano l'ultimo appuntamento con il veterinario. L'animale, allo stremo e senza speranza, è stato sedato e quindi soppresso senza sofferenza. Il sentimento è stato di dolore, ma anche di sollievo e consapevolezza di avere di avere fatto la cosa giusta. A noi non è data la stessa misericordiosa sorte.

Colpiti da un male incurabile e consapevoli di esserlo, trascineremo l'ultimo periodo della vita tra penose e a volte atroci tribolazioni, le terapie serviranno solo a rimandare il momento di una fine liberatoria.

Sarà ancora peggio se ci troveremo ridotti a vegetare in un letto, costretti a una esistenza artificiale, sostenuta da apparecchi medici. Non potendo combattere il male, dovremo lottare e implorare per poter morire. Casi clamorosi sono stati portati alla ribalta, ma infiniti altri si vivono quotidianamente negli ospedali e tra le mura domestiche.

La nostra legislazione è sorda davanti alle grida di dolore, con vaghi richiami alla limitazione dell'accanimento terapeutico ignora la vera soluzione del problema, che è la facoltà di morire in modo dignitoso e senza soffrire. In Europa l'eutanasia è ammessa e praticata solo in Olanda, Belgio, Svizzera. Così un diritto esistenziale diventa un diritto connesso alla cittadinanza.

Forze politiche minoritarie e movimenti di opinione raccolgono periodicamente firme a favore di eutanasia e testamento biologico. L'ultima iniziativa si è svolta a Torino, sabato 1 e domenica 2 giugno. Ma le resistenze sembrano insormontabili. Le obiezioni sono principalmente ideologiche, quasi che la vita non fosse nostra.

Altre sono prudenziali, temendo la degenerazione del ricorso alla dolce morte. Sconsolatamente, dobbiamo prevedere che non moriremo in pace, potendo scegliere il momento della nostra fine.