Amnesty International stima siano migliaia le condanne a morte eseguite ogni anno nel mondo, ma nessuno conosce il numero certo, perché alcuni Stati tengono segreti i dati. Le ultime esecuzioni di cui si è avuta notizia sono avvenute il 12 giugno negli USA, una in Florida e una nel Texas.

Sono 76 gli Stati che applicano la pena di morte, tra i Paesi dove è più praticata Cina, Iran, Iraq, USA e Yemen. Si può essere messi a morte per omicidio, rapina, corruzione, stupro, spaccio di droga, ma in alcune aree del mondo anche per colpe che da noi non sono nemmeno reati, quali l'apostasia e l'omosessualità.

Le modalità di esecuzione vanno dalla iniezione letale, all'impiccagione, alla fucilazione, alla decapitazione, presso popolazioni tribali vige ancora la lapidazione.

Cesare Beccaria, uno dei massimi rappresentanti dell'Illuminismo italiano, definì la pena di morte "il vertice della inciviltà gestita dallo Stato". Nel suo trattato "Dei delitti e delle pene", scritto nel 1764, introdusse il concetto della condanna come strumento per correggere il criminale e ricondurlo sulla retta via, oltre che per proteggere la società. La morte non lascia speranza, né al condannato, né alla umanità di chi la commina.

Il libro fu messo all'indice dalla Santa Sede, che paventava idee tanto "rivoluzionarie".

Nello stesso periodo Mastro Titta, "er boia de Roma", eseguiva una impressionante serie di esecuzioni per conto dello Stato Pontificio, tramite squartamenti, impiccagioni, decapitazioni.

Altro celebre boia fu il francese Sanson, ultimo di sette generazioni di carnefici. A lui toccò l'"onore" di ghigliottinare Luigi XVI. Entrambi diedero alle stampe le loro turpi memorie, pur sempre meno turpi delle autorità per cui lavoravano.

E' consolante sapere che il primo Stato ad abolire la pena di morte fu il Granducato di Toscana nel 1786, sotto l'illuminato governo di Pietro Leopoldo, influenzato dalle idee del Beccaria. Oltre 200 anni dopo queste idee pare non abbiano ancora fatto presa nel mondo e la barbarie continua.