Esame di Stato. Un incubo per i docenti e per gli studenti. Questi ultimi, a dir il vero, sanno esorcizzarlo molto bene, per ritrovarsi a giugno a fare i conti con tesine, mappe concettuali e contenuti spesso lacunosi, poiché per mesi hanno pensato a fare altro dallo studio per non angosciarsi. I docenti, almeno quelli che credono nella loro professione e la vivono con professionalità, si immergono nello spettro caleidoscopico di un sapere sempre più unitario e sempre più ricco di sfaccettature. Così, mentre cercano nello studio personale di arricchire le conoscenze, cercano il modo per coinvolgere nel loro entusiasmo i propri alunni.

Arriva così la fatidica data che si preannuncia con le interrogazioni finali e il documento del 15 maggio: fascinoso plico in cui riversare quanto la classe che va all'esame ha realizzato. Fascinoso, sì: anche la data ne aumenta il mistero poiché le idi di un mese hanno un sapore fatale. A ben vedere, si tratta in fondo delle solite carte contenenti programmi, relazioni, nuclei tematici, eccetera eccetera.

Come ogni anno ho invitato i miei studenti ad un approfondimento da fare liberamente anche ad un tavolo di un bar. Gratuito, naturalmente. Un approfondimento teso a dare quel quid in più che a volte l'orario scolastico ti impedisce. Ne sono scaturite lezioni dense e appassionanti. Per rendere più facile a tutti la partecipazione, abbiamo scelto un bar con sala e tavolini.

I ragazzi, attivi come mai li avevo visti, hanno arricchito quanto andavo costruendo nella spiegazione. Un vero dibattito culturale, un caffé letterario. Il gestore e i giovani che ci portavano i caffé hanno cominciato ad appassionarsi, incuriosirsi, partecipare: chi aveva fatto l'esame qualche anno prima, chi dopo l'esame aveva lasciato per lavorare, tutti però desiderosi di ascoltare e intervenire anche.

Ho letto l'inverno scorso un libro, Diario di un Preside, che mi ha fatto rivivere le emozioni di un testo letto quando ero alle medie: Ricordi di Scuola, di Mosca, e di Lettera a una professoressa, grande testo di don Lorenzo Milani, anzi: dei suoi ragazzi. Quanta passione educativa, quanto entusiasmo, nessuna stanchezza del proprio lavoro solo un autentico credo nella forza della cultura.

Non so cosa rimarrà di queste lezioni sui generis ai miei studenti, ora: ex studenti. So però che, sia pur per pochi giorni, ho visto nei loro occhi accendersi un'altra luce, quella della curiosità intellettuale e dell'autostima.

Come sarà la scuola nei prossimi anni? Ogni riforma si è mostrata deludente e non basta fornire di computer e lavagne luminose le fatiscenti aule dei nostri edifici scolastici. Mi permetto uno sfogo: ho letto che il Ministro e i suoi collaboratori hanno dichiarato un premio ai professori ma dovranno lavorare di più! Io non voglio premi, sono una professionista e così voglio esser valutata. I premi li dà la televisione, il mondo dei quiz et similia.

Sono da tanti anni, ormai, nella scuola e non me ne sono accorta, perché l'insegnamento è il lavoro più bello del mondo, perché il tempo è sempre quello della giovinezza, senza bisturi; la giovinezza di una persona in sintonia con la storia e i tempi delle generazioni più giovani.

Ministro io il premio ce l'ho già.