Il 27 gennaio 1945 le truppe dell'Armata Rossa (e non quelle americane, come Benigni nel suo capolavoro "La vita è bella" ci racconta) scoprirono sgomenti il campo di concentramento di Auschwitz e ne liberarono i superstiti. Da questo momento l'opinione pubblica prese coscienza del genocidio perpetuato dai nazisti e degli orrori che questi campi nascondevano.



Sono passati 70 anni da quel giorno. Molte cose sono cambiate, ma tante sono rimaste le stesse. Le atrocità di cui si può macchiare il genere umano, per esempio, tra l'appoggio (o nei migliore dei casi l'indifferenza) della popolazione, il bisogno di trovare un capro espiatorio, l'odio verso il diverso, la rabbia e la frustrazione che si riversano sempre su chi quella rabbia e quella frustrazione non le ha causate.

Ecco perché penso che sia fondamentale ricordare: per quella solita storia che ci raccontano che il passato si ripete, che tutto torna e se non stiamo attenti commetteremo gli stessi errori già compiuti da altri e pagati a caro prezzo da tutto il genere umano.



Anzi, di più: dobbiamo stare attenti perché stiamo commettendo, qui ed ora, gli stessi errori. Questa non è un epoca scevra dalle atrocità del secolo scorso, come noi occidentali tendiamo a pensare.

La disumanizzazione degli ebrei è forse diversa da quella che stanno vivendo i Palestinesi, a cui vengono tolte acqua corrente ed elettricità dallo stesso popolo che è stato perseguitato neanche un secolo fa? Le oltre 200.000 vittime e le decine di milioni di profughi siriani provocati da una guerra che dura da anni ma la cui fine non si intravede neppure, non hanno diritto all'attenzione mediatica?

Dobbiamo aspettare 70 anni prima di parlarne e di struggerci per le loro sorti?



È giustissimo tenere viva l'attenzione sul passato, anzi, è un nostro preciso dovere morale. Ma diventa ipocrisia quando giriamo la testa talmente indietro da non vedere quello che succede adesso intorno a noi. Ricordare affinché non accada più in futuro può essere deleterio quando ci dimentichiamo che oltre al passato, oltre al futuro, esiste un presente di cui tutti noi dovremmo prendere coscienza.

Per non fare la fine di quei tedeschi, di quegli italiani, che vedevano ma non sapevano, che sentivano ma non credevano, che buttavano la loro testa da struzzo sotto la sabbia dell'indifferenza. Per non fare la fine di quelle persone fondamentalmente buone ma che hanno scelto di non scegliere, quelle persone che oggi siamo tutti molto bravi a criticare, a giudicare, a esclamare pomposi "io non mi sarei mai comportato così", ma la verità è che nessuno di noi ha vissuto in quegli anni, nessuno di noi può sapere come si sarebbe comportato.

Quello che possiamo fare è scegliere come comportarci adesso, avere la voglia e il coraggio di informarci e criticamente osservare la realtà dei nostri giorni. Per dare un senso alla Giornata della memoria. Per dare un senso, se mai ci potrà essere, alla sofferenze di ebrei, dissidenti politici, zingari, omosessuali, rom, disabili, testimoni di Geova, uccisi dai nazisti e dall'indifferenza del mondo. Per dare un senso al concetto di "Umanità".