Il più delle volte non ci badiamo neanche, presi come siamo dalle noie, dai problemi, dalle attività quotidiane che assorbono tutta la nostra attenzione.

Gli passiamo accanto e quasi non li vediamo

Gettiamo un'occhiata di sfuggita negli angoli in cui stanno rannicchiati, o sulle panchine seminascosti da cartoni e luride coperte. Per un attimo ci sentiamo pungere da un lieve rimorso, un senso di colpa a cui non riusciamo a dare una spiegazione logica; ma è giusto un istante e poi pensiamo ad altro. Se sono maleodoranti, sporchi o un po' fuori di testa, ci scansiamo timorosi: testa bassa e sguardo rivolto sul marciapiede, facciamo finta che siano invisibili.

A volte riusciamo a essere generosi, gli allunghiamo un paio di euro con cui potranno comprarsi un cornetto al bar, magari un panino, un caffè o un trancio di pizza; invece, lo sappiamo bene, li spenderanno tutti per una bottiglia di vino con cui stordirsi, per dimenticare.

E' difficile risalire la corrente, riemergere da certe disavventure, tornare a far parte di quelli che sono "visibili"

Molti si ritrovano sul marciapiede nel giro di qualche mese: perdono prima il lavoro, spesso anche la famiglia e poi la casa. I primi tempi dormono in auto, fino a che riescono a mantenerla, poi finiscono ovunque: nei sottopassaggi, nei mezzanini del metrò, nell'androne dei palazzi, sulle panchine dei parchi cittadini, alla stazione centrale.

In inverno passano la notte infagottati nei cartoni e nei plaid recuperati nei centri di assistenza; in estate qualsiasi posto va bene, tanto non fa freddo.

Altri sono costretti a consumare i pasti nelle mense pubbliche, anche se non sono barboni. Semplicemente devono scegliere se pagare l'affitto e le bollette, o mangiare.

In questo modo riescono, in qualche modo, a sopravvivere. E quanti anziani sono costretti a frugare tra mele marce e pomodori ammuffiti, dopo i mercati di zona?Quanti di loro percepiscono pensioni da fame?

Li chiamano clochard, senzatetto, invisibili o barboni, ma spesso non lo sono affatto

Tra loro ci sono persone con gravissime difficoltà, che chiedono aiuto alle associazioni di volontariato per avere un pasto caldo.

Si mettono in fila insieme ai profughi, ai clandestini e agli extracomunitari che arrivano sui barconi, in continuo aumento; ma ci vanno anche per riposare, per trovare un riparo dal caldo afoso in estate e dal gelo in inverno.

Tutti hanno un cellulare: durante quella breve pausa in mensa possono ricaricarlo, intanto scambiano due parole con i loro compagni di disavventure, oppure vanno in bagno; in uno vero, intendo.

I volontari sostengono, confortano, ascoltano, incoraggiano

Con i volontari si instaura un rapporto di fiducia. Si parla di tutto: dalla necessità di un giaccone per l'inverno alle circostanze che li hanno spinti fin lì, dal desiderio di riconquistare la dignità perduta, alla certezza di qualcuno - più disperato degli altri - che non potrà mai farcela a risalire la china; tuttavia, trovano comunque la forza di ridere e scherzare, si salutano tra loro, cercano di sedersi accanto agli stessi compagni, si informano sulle reciproche sventure.

C'è chi finge di non vedere e chi invece vuole conoscere le loro storie, incoraggiarli e sostenerli, offrire loro riparo durante i giorni più freddi, quando le persone camminano in fretta per le strade, desiderose di tornare nel calore della loro casa. Nelle associazioni di assistenza, i volontari sono un esercito, per fortuna. E si danno da fare tutto l'anno, non solo a Natale.