È vero che la tecnologia ci ha resi schiavi? Molti affermano di sì, e aggiungono che ne siamo diventati dipendenti come da una droga, basta guardarsi intorno per capirlo: gran parte della gente ha il viso chino su uno schermo, attraverso cui manda messaggi, email, e commenta sui social network; eternamente connessi e costantemente informati sulla vita delle altre persone, dimenticando di vivere la propria. Se non è una forma di dipendenza anche questa, gli si avvicina molto; tanto è vero che alcuni ricercatori della Bournemouth University, hanno proposto di porre etichette per la prevenzione su tablet e smartphone, simili a quelle che si leggono sui pacchetti di sigarette.

Se usati troppo a lungo, creano 'dipendenza digitale'

Gli ideatori del progetto stanno pensando inoltre a un modo ancora più efficace per rendere 'convincenti' le etichette: per esempio, invio di segnali acustici quando si esagera. Per non rinunciare ai vantaggi dei nuovi mezzi di comunicazione non è però necessario regredire; piuttosto, potremmo trovare una via di mezzo, e imparare a non confondere ciò che ci proiettano con la realtà. Grazie alla tecnologia, la qualità della nostra vita è migliorata sotto molti aspetti, ma siamo certi che lo siano tutti? Per esempio, la nostra creatività si è inaridita, (è più facile copiare che inventare), e non sforziamo più la mente (calcolatrici e computer lo fanno per noi), la comunicazione si è impoverita (temi, lettere, relazioni, sono stati sostituiti dalle e-mail, dai post su FB, dagli sms).

Pensiamo di avere tutto ciò che serve, quindi non sentiamo più la necessità di inventare o di migliorare, tanto ogni informazione si può trovare su google. Siamo meno stimolati, non ampliamo le nostre conoscenze in modi diversi, limitiamo l’uso del cervello.

Paradossalmente, prima del progresso il genere umano era più intraprendente, intelligente, fantasioso; e cioè quando si imparavano a memoria le poesie e le tabelline; quando si faceva prima la brutta e poi la bella copia di un tema; quando il grado di istruzione si misurava non solo in base ai voti, ma anche all'impegno dimostrato e alla quantità di libri letti;e quando costava più fatica fisica lavorare.

Le nuove generazioni non se ne accorgono nemmeno, non avendo termini di confronto: in altre parole, chi scrive scopiazzando su internet senza usare troppo il cervello, pensa che la forma di comunicazione più evoluta sia un sms; e le generazioni che hanno vissuto invece lo sviluppo tecnologico perdono progressivamente la capacità di tramandare la storia: 'Non importa sapere come l'abbiamo ottenuto - pensano - godiamoci quel che abbiamo!'

Il fenomeno diventa speculazione commerciale

Computer sempre più potenti ci costringono ad aggiornarli frequentemente; ai telefonini si aggiungono ulteriori funzioni e in breve vengono soppiantati dal nuovo modello; le automobili sono più sicure ma questo significa cambiarle sempre più spesso, così come gli elettrodomestici.

E, nota dolente, vengono destinati più investimenti nella ricerca sulle tecnologie spaziali e delle comunicazioni, piuttosto che alla cultura e all’istruzione. Per 'fortuna' la crisi rallenta il superfluo e rivaluta l’intelligenza; il tenore di vita si ridimensiona, riumanizzandoci gradualmente. La creatività, la curiosità e il ragionamento forse oggi aprono più porte di una laurea; ma, come si alimenta l’intelligenza?

Torniamo al punto di partenza: con la cultura, che rende liberi dal gossip, dalla schiavitù della politica, della tv spazzatura e della ipertecnologia. Forse è proprio questo che frena gli investimenti in tal campo, trovando la scusa di risorse economiche mancanti che, invece, in altri campi non scarseggiano affatto.

Ma la sete di conoscenza è gratis, dobbiamo solo risvegliarla, scuoterla e lasciarla libera di esprimersi: non sarebbe magnifico scoprire che può dare più soddisfazione di altre cose fino a oggi ritenute indispensabili?