Non tutti i paesi d’Europa si sono allineati in tema di Pensioni, come noi, con la legge fornero, ai diktat della Troika. Ad esempio, in Francia si va ancora in pensione a 60 anni, se si è nati prima del 1° luglio 1951, con aumenti di 5 mesi per anno di nascita, fino a toccare i 62, per chi è nato dal 1955 in avanti. Da noi tutt’altra musica. Si è pensato soltanto di introdurre alcuni correttivi all’iniqua riforma. Ci riferiamo ovviamente all’Ape- acronimo di anticipo pensionistico - inserito nel pacchetto di riforma pensionistica, da approvare a settembre con la legge di stabilità.

Come è noto, l’Ape era stata la risposta governativa alle richieste di Tito Boeri, presidente dell'Inps, e Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro alla Camera, di consentire l'anticipo mediante un contributo di solidarietà sulle pensioni più alte, con riduzione dell'assegno pensionistico. Nel caso della proposta Damiano si parlava di una riduzione del 2%, mentre con la proposta Boeri vi sarebbe stato un taglio della pensione di ben il 4-6%, per ogni anno di anticipo rispetto alla soglia dei 66-67. L'anticipo fino a tre anni voluto dall'attuale esecutivo sarà pagato mediante un prestito, garantito dallo stato, ma erogato da banche e assicurazioni, tramite l'Inps, al compimento dei 63 anni.

Lo Stato garantirebbe il prestito, facendosi carico del rischio di morte del pensionato e degli interessi da corrispondere. Sull’Ape, Boeri lo scorso giugno aveva affermato «La cosa importante è permettere la libertà di scelta alle persone il problema dell’uscita flessibile è molto importante». Come dargli torto, ma conta anche il come “uscire”.

E l’Ape -come del resto la proposta Boeri- è sicuramente molto penalizzante per i lavoratori. Chi andrà in pensione con tre anni di anticipo dovrà infatti pagare, situazioni particolari a parte, una «penale» di importo pari addirittura al 20% dell’assegno netto. Con il risultato che, secondo i calcoli della Cisl, per una pensione oggettivamente bassa di 1.000 euro si dovrebbe pagare- per restituire la cifra di 39.000 euro- una rata di 199 euro al mese per 13 mensilità, per 20 anni.

Insomma, una pensione come quella sopra citata, da bassa, diventerebbe da fame.

Andiamo oltre. Chi sarà esentato dal prestito pensionistico? Pare che gli interessidel prestito siano a carico dello Stato, per le fasce più svantaggiate (es: esodati, lavori usuranti ecc.). Una scelta condivisibile. Sorprende però che, tra le fasce svantaggiate, non siano considerati, almeno nelle anticipazioni apparse sulla stampa, gli invalidi. Altrove non è così. Torniamo alla vicina Francia. Nel paese transalpino esiste una pensione per handicap, che consente un pensionamento senza penalizzazione tra i 55 e i 59 anni, per i soggetti con un'incapacità lavorativa permanente di almeno il 50% , in alternativa bisogna essere stati riconosciuti lavoratori disabile prima del 31 dicembre 2015 e aver maturato una determinata anzianità assicurativa, variabile in ragione dell'anno di nascita e dell'età prevista di pensionamento, per il periodo di handicap.

Spostiamoci in Spagna. Nel paese di Cervantes i lavoratori con invalidità almeno del 45% possono andare in pensione senza penalizzazioni a 56 anni (a 52 se l’invalidità è del 65%). Abbiamo citato, a mo’ d’esempio, due paesi a noi vicini, dell’area Euro.

Riteniamo che anche l’Italia debba prevedere una qualche forma di protezione per gli invalidi, ad esempio esonerando anche loro dal prestito pensionistico. Si potrebbero, alzando magari i paletti, rispetto a Francia e Spagna, stabilendo un pensionamento senza penalizzazione a 63 anni, per gli invalidi (quelli veri!) con uno stato di 'handicap di cui al co. 1 dell'art. 3 L. 104/92 con almeno i 67% di invalidità (il 67% significa infatti una percentuale di invalidità superiore ai 2/3). Si tratterebbe di una misura di civiltà, su cui i legislatori, spinti magari dalle parti sociali, sino ad ora latitanti a riguardo, dovrebbero riflettere.