"Il guadagno che si sottrarrebbe alle mafie è quasi ridicolo" ha affermato Nicola Gratteri. Per la prima volta il Parlamento Italiano discute la possibilità di legalizzare l'uso delle cosiddette droghe leggere, passando dall'autorizzazione della coltivazione per uso personale fino alla depenalizzazione del reato di detenzione. Il dibattito non sarà semplice, come sarà difficile arrivare alla formulazione di una legge condivisa da tutti a causa delle divergenze politiche, ideologiche ed etiche che caratterizzano i vari attori.
Per il momento lo scontro si è concentrato sul piano giudiziario coinvolgendo il Presidente dell'Autorità Nazionale, Raffaele Cantone (magistrato in aspettativa), dichiaratosi favorevole alla legalizzazione delle sostanze stupefacenti leggere (hashish e marijuana) e Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro, celebre per il suo impegno di contrasto della criminalità organizzata con particolare attenzione per la 'ndrangheta calabrese. Ad oggi il magistrato più brillante della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA), contrario alla regolarizzazione dell'uso e della distribuzione delle droghe.
Il Giudice Gratteri ha più volte argomentato la sua contrarietà attraverso un lucido ragionamento, frutto della sua trentennale esperienza in merito, prescindendo, tuttavia, da valutazioni di tipo etico che una simile scelta implicherebbe.
La legalizzazione delle droghe, pessimo affare in termini economici e pratici per lo Stato, a tutto vantaggio delle mafie
Il Giudice Gratteri ha sottolineato in diverse interviste che recuperare danaro da destinare alle Forze dell'Ordine attraverso la regolarizzazione (come auspicato dal nutrito fronte dei favorevoli tra i quali evidenzio l'impegno profuso dal M5S) sarebbe una vera illusione. I dati illustrati sono inconfutabili. Lo Stato dovrebbe, al contrario delle mafie, investire ingenti quantità di danaro per coltivare, raccogliere, trasformare, confezionare e distribuire la marijuana, facendo lievitare il prezzo di almeno 3 volte rispetto a quello del mercato nero.
Al consumatore converrebbe, per conseguenza, continuare a comprare dagli spacciatori. Lo stesso Stato, inoltre, diventerebbe il diretto concorrente delle mafie, innescando un processo di antagonismo che porterebbe alla ricerca di nuove sostanze da sballo, di qualità più scadente, per arginare l'aumento del prezzo, evenienza che ne incrementerebbe il consumo.
Secondo il Procuratore, inoltre, solo il 5% dei tossici fa uso di droghe leggere e di questa esigua percentuale solo il 25% è costituita da maggiorenni per cui il guadagno ottenuto dalla vendita attraverso i canali ufficiali - ammesso che tutti i consumatori maggiorenni decidessero di rifornirsi presso i negozi legali- sarebbe risibile a causa della smisurata quantità di sostanze stupefacenti che quotidianamente circola nel Paese.
Si tratterebbe di una scelta fallimentare non solo in termini economici, ma anche pratici perché la regolarizzazione non favorirebbe, né semplificherebbe, come suggerito e previsto dal fronte dei fautori, nemmeno le attività investigative, in quanto le mafie si occupano di droghe leggere e pesanti indifferentemente, per diversificare gli investimenti, e questo particolare modo di procedere non consentirebbe una diminuzione di risorse da mettere in gioco per contrastare la criminalità organizzata.
Rimane, oltretutto, da discutere il problema etico. Di questo ancora non si dibatte come se si avesse il timore di apparire degli antiquati moralisti o dei novelli inquisitori. Strano questo tempo, non contraddittorio perché coerente con la nostra logica che gli dà concretezza, ma sicuramente paradossale.
È un tempo in cui si evitano taluni temi perché ritenuti contrari alla ragione, ma è anche un tempo che si ripromette di legalizzare sostanze che alterano le funzioni psichiche e fisiche dell'organismo. È fin troppo evidente che le ragioni materiali prevalgono su quelle dell'intelligenza.