In questi giorni l’università cinese di Qingdao Binhai, nella provincia di Shandong, è diventata particolarmente famosa per aver approvato un regolamento alquanto rigido, in cui è espressamente proibita ogni forma di manifestazione o espressione di affetto. A non essere più permessi sono: segni di tenerezza come tenersi per mano, accarezzarsi, baciarsi; interazioni fisiche come portare le valige di un compagno, aiutare a spostare libri o oggetti pesanti, ascoltare la musica dividendo le cuffie; forme di condivisione come mangiare dallo stesso vassoio o sedersi uno in braccio all’altro.
Questa serie di proibizioni va ad integrare un codice già esistente riguardo la divisa scolastica e, più in generale, l’abbigliamento. Le nuove regole hanno rapidamente sortito i primi effetti e uno studente è già stato obbligato a pulire tutti i bagni dell’università, per essere stato sorpreso mentre prendeva la mano della fidanzata. Il consiglio di ateneo si è dichiarato fin troppo magnanimo, per aver risparmiato lo studente e non averlo espulso, come da regolamento. Le proteste piovute sull’ateneo sono numerose, ma il rettore insiste sulla legalità della condotta adottata, visto che l’istituto in questione è privato e dunque può darsi le leggi che preferisce.
I dirigenti difendono le decisioni prese parlando di chiara scelta educativa, mirata ad insegnare a mantenere in pubblico un comportamento corretto e rispettoso.
Dall’altra parte, i detrattori di questo severo regolamento sostengono che esso allontana i giovani dalla realtà del mondo, riportando la questione alla difficile situazione della Cina, divisa tra i più progressisti e i conservatori, che fanno del culto della tradizione un valore imprescindibile.
Quale idea di educazione?
Quello che viene da chiedersi è: quanto deve essere rigida l’educazione, per essere efficace e valida? Che messaggio vogliamo far arrivare ai giovani da educare?
Va bene aspettarsi un certo decoro in contesti pubblici e far capire a tutti che esistono determinati principi da rispettare nella vita comune, ma proibire occasioni di crescita insieme come condividere un pasto, o gesti di gentilezza verso l’altro come aiutare un amico a portare un peso, non porta a controllare le proprie emozioni in pubblico, significa piuttosto sopprimere direttamente le emozioni stesse.
Siamo sicuri che questo è ciò che vogliamo, in una società di cui critichiamo quotidianamente l’apatia, la mancanza di slanci verso l’altro, la chiusura nel proprio, solitario, mondo virtuale? Con ciò non si vuole sostenere che non c’è bisogno di severità nell’educare o che è sbagliato esigere il rispetto di alcune regole.
La direzione che ha preso il mondo in cui viviamo richiede una riflessione quanto mai attenta e critica sulle modalità con cui cresciamo i nostri bambini e ragazzi. Realtà come quella dell’università di quingdao binhai fanno capire che spesso ricorrere a vie estreme può rivelarsi controproducente: un’educazione troppo permissiva può formare giovani senza spina dorsale, tuttavia, una spina dorsale troppo rigida rischia di spezzarsi più facilmente al minimo urto.
Oggi, forse come non mai, c’è bisogno di regole, ma per acquisire valore e autorevolezza queste norme hanno bisogno di tenere in considerazione i casi concreti, di migliorare veramente le situazioni a cui vanno applicate. Non serve a nulla educare alla disciplina, se poi si tralasciano valori come l’umanità, l’estroversione, la disponibilità, la creatività, la sensibilità, in quanto sono poi questi i valori che ci vengono richiesti per migliorare il mondo. È giusto avere una solida moralità, poi però questa integrità va adeguata ai vari contesti che si presentano, per trovare il modo migliore di comportarsi prendendosi cura di ciò che si ha di fronte.