Sentiamo parlare spesso di tv invadente o tv del dolore, ma se invece fosse un mezzo per aiutare la magistratura a risolvere casi complessi? Certi programmi tv trasformano il dolore in spettacolo e soprattutto trasformano noi in spettatori di esso. Non siamo più scioccati dalla violenza, ma incuriositi. Mentre guardiamo questi programmi ci infiliamo i panni da detective e ne vogliamo sapere sempre di più!

Vogliamo sapere ogni dettaglio dell'omicidio, ogni particolare della vittima, il passato del carnefice, le sue frequentazioni, ogni particolare che renda il fatto ancora più macabro.

Noi da casa, per primi, ci domandiamo: 'Chi sarà stato? Perché lo ha fatto?'

Gli esperti parlano di effetto “finestra sul cortile”, ovvero irrefrenabile desiderio di scrutare dalla finestra, quando sta accadendo qualcosa nel nostro giardino. Ovviamente osserviamo da “casa”, ovvero da un luogo protetto, ci teniamo sempre a una giusta distanza.

Per una buona comunicazione nell’ambito dei processi in tv, ci sono alcune regole da osservare, regole che ogni giornalista dovrebbe aver consultato nel manuale di deontologia del giornalista.

Il Codice per le trasmissioni televisive prevede la chiara differenza tra cronaca e commento, prevede la diffusione di un’informazione che si attenga alla presunzione di non colpevolezza dell’indagato, non rivelando dati sensibili che ledano la riservatezza e il decoro altrui. Il Codice per le trasmissioni televisive esige un’informazione che si attenga alla verità dei fatti, che sia oggettiva e che consenta al telespettatore un’adeguata comprensione della vicenda, dando pari opportunità alle parti di esprimersi.

Quindi i processi in tv sono o non sono da condannare?

Non sempre, bisogna saper far distinzione. Infatti, se da una parte troviamo programmi che spettacolarizzano il dolore dall’altra troviamo programmi che sono stati addirittura essenziali per risolvere casi di cronaca.

Sto parlando del caso di Lidia Macchi, la ventunenne che fu uccisa la notte del 5 gennaio del 1987 in provincia di Varese.

Un caso risolto dopo 31 anni dal delitto, grazie all’intervento da casa del pubblico del programma “Quarto Grado”. La vicenda era stata ormai classificata per anni come “Cold Case”, per la mancanza di prove in mano agli inquirenti, fino al 2014, quando una telespettatrice da casa, guardando il programma, riconosce la grafia di una lettera anonima che era stata inviata alla famiglia della vittima. Secondo l’attenta telespettatrice si trattava di Stefano Binda che poi nel 2016 grazie a questo intervento e ad altre prove poi emerse, viene condannato all’ergastolo.

E quello a cui abbiamo assistito ieri sera durante la puntata delle Iene, potrebbe avere un esito simile.

Stiamo parlando della strage di Erba, che come tutti sappiamo si tratta di un multiplo omicidio commesso in provincia di Como nel dicembre del 2006.

La strage secondo le indagini è stata compiuta dai coniugi Olindo Romano e Angela Rosa Bazzi, tutt’ora in carcere. Ma il risultato delle indagini non ha mai convinto in molti, per questo il programma televisivo “Le Iene” ha più volte “riaperto” il caso. Ed ora sembra ci sia pure un video inedito. Un video che mostra un interrogatorio sottoposto a Olindo Romano dopo due mesi dalla strage. In questo interrogatorio Olindo racconta tutto ciò che è accaduto in quella fredda sera di dicembre al criminologo Massimo Picozzi, a quei tempi consulente dell’avvocato d’ufficio fornito ai coniugi Romano.

La cosa strana è che nella sua confessione compaiono incredibili errori grossolani nella ricostruzione della dinamica dell’accaduto. Tra le varie cose: l’orario errato dell’omicidio, l’assenza di luce, la dinamica dell’aggressione, le armi, l’abbigliamento, elementi cruciali che mettono ancora più ombre su questo misterioso caso.