Si è tanto parlato in queste settimane del caso “Sea Watch 3”, della sua capitana Carola Rackete e della sua scelta di sbarcare a Lampedusa nonostante l’opposizione e il divieto del ministro Matteo Salvini. Ma, come di consuetudine nel nostro Paese, ci si è soffermati sulle apparenze, sui luoghi comuni e sulle idee di partito. Proviamo, quindi, a mettere un po’ d’ordine e a svincolarci da tutti questi fattori che ci portano a guardare le cose da un’unica prospettiva. In effetti si è permesso a questo evento di banalizzare la discussione che, invece, è molto complicata e racchiude macro argomenti come sulle politiche estere in Libia (che è completamente diverso dal discorso sull'immigrazione), il ruolo delle ONG e dell'accoglienza, la redistribuzione Europea.
Il rischio è che tutto sia dimenticato e oscurato dallo “scontro tra i due Capitani”, simboli di due posizioni diametralmente opposte.
Proviamo a fare alcuni passi indietro e guardare la questione dall'alto
Il primo elemento è la Sea-Watch ferma in mare da due settimane, costretta a fare ghirigori sulla mappa vicino a Lampedusa, con il ministro Salvini che si è opposto allo sbarco “per motivi di ordine pubblico” a suo dire. Nel frattempo, in quei 12 giorni, sono sbarcate in Italia almeno 312 persone che hanno avuto la “fortuna” di non essere salvate da ONG, ma essere arrivate da sole. Queste persone seguiranno il destino di tutte le altre che arrivano in Italia (tramite ONG, da sole, portate dalla Marina, dalla guardia costiera…): i naufraghi sono naufraghi, ma si fa finta che alcuni siano più naufraghi altri e, soprattutto, che esistano solo quelli a bordo delle ONG.
Quindi la gente arriva lo stesso e la cosiddetta “questione sicurezza” non è affatto risolta.
Un secondo elemento su cui concentrare l’attenzione e rappresentato dagli sbarchi: nel 2019 sono entrate in Italia 2447 persone, un numero bassissimo se comparato a quelli infinitamente superiori della Spagna (12500) o della Grecia (17.500).
La cosa che colpisce di più è che luoghi geograficamente microscopici come Cipro e come Malta (quest’ultima spesso accusata di non fare la sua parte) si facciano carico di salvare proporzionalmente un numero enormemente superiore di persone. Malta, con i suoi 1048 sbarchi, fa da sola quasi la metà del lavoro che riesce a fare il nostro Paese che, per quanto in declino, rimane comunque una delle nazioni più ricche del pianeta.
Questo dato è molto più importante della Capitana Rackete perché contrasta con i fatti, le solite frottole che nessuno faccia niente tranne noi ed evita che l'intera questione diventi un botta e risposta tra buonisti e sovranisti.
Accoglienza VS Politica
Una delle cose che diciamo spesso è che l'Europa non è solidale e che nessuno cambia il regolamento di Dublino (che obbliga i paesi di primo approdo a farsi carico dell'accoglienza). Ma il punto è che continuiamo a guardare le ONG e non i profughi, che appunto non dipendono dalle ONG; accanirsi, infatti, contro un gruppo di idealisti che salva alcune vite in mare sperando di risolvere la questione migratoria è come arrabbiarsi con Telethon per l’esistenza delle malattie: non si risolve il problema e non si riesce a capire nemmeno perché esistano determinate malattie (per non parlare della pessima figura che si farebbe a prendersela con Telethon).
La Politica di questo governo in materia di immigrazione è disastrosa: è emersa infatti un’incapacità di fare cose serie ed è questa incapacità che lo rende complice di quello che accade nei centri di detenzione. Un terzo elemento importante è l’instabilità della Libia: si era parlato della necessità che questa avesse dei governi seri con i quali fare accordi, che permetterebbero di organizzare missioni hotspot. In tal senso non si è fatto nulla, anzi è stato lasciato da solo il governo Serraj e c’è stato un avvicinamento al suo rivare Haftar, permettendo dunque la riesumazione di una guerra civile che sinora ha fatto centinaia di morti e destabilizzato ancora di più il Paese.
Le critiche alla "capitana" e la visione dei giovani in Italia
L’aspetto interessante della storia di Carola Rackete sta nel fatto che un enorme parte del Paese l'ha descritta come figlia di papà, figlia di qualcuno, messa lì. A questo punto è importante lanciare un messaggio soprattutto ai giovani che, magari, condividono questa posizione: quando l'Italia (che notoriamente odia i suoi giovani) se la prende con figure così, se la sta prendendo con voi!
È emerso il curriculum della “Capitana”: appena 31 anni, laureata, specializzata, sei esperienze da ufficiale in diverse imbarcazioni da quando aveva 23 anni; si è parlato molto del perché sia finita a fare quello che fa e la sua risposta è quella di essersi accorta dei propri privilegi, confrontati a chi di privilegi non ne ha.
Questo apparentemente è stato abbastanza perché le si riversassero un’ondata di critiche come l’accusa di essere figlia di papà (anche se in realtà il figlio di papà è chi non deve fare niente nella vita per ottenere quello che ha).
Emergono quindi due corto circuiti del nostro paese che vanno ricercati nella forma mentis italiana: il primo è l’odio per chi ottenga un qualsiasi tipo di successo o, peggio, lo utilizzi per aiutare gli altri; il secondo è che i giovani non esistono per l'Italia, non possono mai fare niente di buono e compaiono sulla Stampa solo ed esclusivamente quando le vecchie generazioni devono fargli la morale. Tale aspetto è stato fatto notare da Valerio Moggia su “Vice” evidenziando, con la morte del ragazzo alla Sapienza di Roma (arrampicandosi su un cancello e ferendosi gravemente) come la stampa abbia descritto la notte bianca della Sapienza come un rave illegale pericolosissimo e violentissimo.
I giovani italiani sono i cervelli che scappano (e che quindi non contribuiscono alla crescita del Paese), oppure dei cretini ai quali fare la morale. Quindi la reazione scomposta di fronte alla storia di Carola, che necessariamente è messa lì da qualcuno, dai poteri forti, ricalca esattamente questa cosa: se sei giovane l'Italia ti considera un idiota oppure un burattino e, tristemente, un sacco di giovani finiscono per credere a questa bugia e pensare altrettanto di sé e degli altri.